Il Pd in Sala…d'attesa

La riserva indiana della sinistra, la rossa Toscana dai mille campanili, non esiste più. Il centrodestra a trazione leghista (a proposito che fine ha fatto Forza Italia?) ha conquistato piazze come Siena e Pisa, ribaltando prospettive politiche disegnavano l’orizzonte da molti anni. Più che un segno dei tempi, la fine di un’epoca. Alimentata dal vento di destra che soffia su buona parte dell’Europa, dimostrando come la macchina dello spostamento del baricentro politico sia in corsia di sorpasso.

Ma al netto del quadro europeo, questa tornata elettorale ha fatto emergere due elementi forti: la scomparsa del centrosinistra così come l’abbiamo conosciuto in questi ultimi anni, e l’apparizione di nuove figure capaci di attrarre i delusi dell’esperienza renziana. In pratica oggi la ridotta della Valtelltina made in Pd è rappresentata da Milano e dal suo sindaco Beppe Sala. La capitale economica del Paese, lasciamo perdere la declinazione morale che appartiene ad un'altra epoca della quale deve essere scritta anche la vera storia, perseguendo la politica dell’accoglienza, in tema d’immigrazione, si è eretta a paladina dell’antisovranismo imperante. Sostiene Sala, sindaco scelto da Renzi e votato convintamente dei milanesi, che il modello Milano sarà l’alternativa a Salvini. Un modo surrettizio per dire che il primo cittadino del capoluogo lombardo si è messo alla testa delle truppe piddine per contrastare il leader della Lega. Che non intende affatto demonizzare ma contrastare  sul piano  delle idee. Chi lo ama lo seguirà. 

Certo, il partito dei sindaci, in Italia, non ha mai riscosso una grande fortuna, ma l’operazione messa in piedi da Sala, partita con il pranzo multietnico organizzato dal Comune all’interno del Parco Sempione, mira a superare quella logica, andando direttamente al cuore del problema. Una sinistra in calo di consensi potrà essere anche senza leader, ma non può essere senza idee, senza prospettive politiche. E se il tema dell’immigrazione è certamente il più complesso e difficile è altrettanto vero che è l’unico che paga. Dunque quella di Sala è una scommessa forte, ad alto rischio, che ricorda da lontano le operazioni di Walter Veltroni con il modello Roma e la sua Capitale dell’inclusione, e sia pur con evidenti variazioni sul tema, la rottamazione di Matteo Renzi quando era primo cittadino di Firenze.

Oggi Sala non fa altro che riempire lo spazio politico lasciato vuoto dal Pd. Il quale deve guardarsi allo specchio per ritrovare una immagine da proporre  ai propri elettori. E se Carlo Calenda va sostenendo il superamento del progetto politico dem, il segretario reggente Maurizio Martina parla di “cambiamento e ricostruzione”. In teoria le cose non sono antitetiche, nella pratica appare assai difficile vederle accoppiate. “E’ una sconfitta netta, che pesa parecchio come quella in Toscana e in alcune realtà dell'Emilia Romagna”, ammette Martina, “sicuramente nelle ex regioni rosse c’è una forte domanda di cambiamento che noi dobbiamo comprendere, e le elezioni amministrative confermano un cambio di fase. Ora dobbiamo ricostruire tutto su basi nuove”. Ragionamento molto politico e poco pratico, in tutta onestà. “E’ ora di darsi una mossa”, tuona Calenda, proponendo una ricetta di rottura, “andare avanti così non si può. Dal 5 marzo abbiamo navigato a vista senza un progetto. Dobbiamo cambiare tutto: linguaggio, idee, persone e organizzazione”, prosegue Calenda.

Nel dibattito si inserisce il governatore del Lazio, Nicola Zingaretti, secondo il quale “non bastano semplici aggiustamenti. Tantomeno bastano povere analisi di circostanza. Un ciclo storico si è chiuso”, osserva amaro. Difficile dargli torto. La tenuta in alcuni Municipi della Capitale, la conferma di Fiumicino non possono essere elementi sui quali il Pd può imbastire delle scuse. O delle risibili ragioni per non piangere. Stavolta la situazione è seria, oltre che drammatica per il centrosinistra. Perché questo centrodestra, a trazione leghista a davvero un tigre nel motore.