Il nuovo welfare riparta dalle comunità

Mentre si cercano vie per ripartire dopo il lungo lockdown, mentre si susseguono studi e tavoli di elaborazione per trovare soluzioni a tutto, si apre uno scenario futuro pieno di incognite per milioni di persone, milioni di famiglie che non hanno certezze per il futuro. Risuonano le parole di don Oreste Benzi, secondo cui “l’evangelizzazione si fa per trapianto vitale”, parte dallo stare con il povero ed insieme con lui essere lievito per una nuova umanità. Del resto, anche Papa Francesco ha chiarito come “si moltiplicano inutili luoghi di elaborazione strategica, per produrre progetti e linee-guida che servono solo come strumenti di autopromozione di chi li inventa…Gesù ha incontrato i suoi primi discepoli sulle rive del lago di Galilea, mentre erano intenti al loro lavoro. Non li ha incontrati a un convegno, o a un seminario di formazione, o al tempio”

In questo schema cadono anche molti cristiani, i quali sono portati a delegare ai potenti della terra scelte e comportamenti che gli sono propri: “non è lecito delegare agli altri la condivisione con chi è nel bisogno, e l’attenzione ai poveri non può essere condizionata dal tempo a disposizione o da interessi privati, né da progetti pastorali o sociali disincarnati”. La povertà che “assume sempre volti diversi”, come ha mostrato la pandemia e il dovere del cristiano di combatterla di fronte all’attuale “globalizzazione dell’indifferenza”… da cristiani – ma direi da esseri umani – pensare che la solidarietà e la prossimità siano compito di “qualcun altro”, dello “stato” o della “provvidenza” non è lecito…

Ma pensate se al posto del “Piano Colao” ci fosse un’azione individuale e corale di prossimità, se al posto dell’annuncio di un “welfare di prossimità” si mobilitasse la Comunità per coinvolgere tutti in un percorso generativo. Tante, troppe, sono le persone rimaste ai margini, per diverse e multiformi condizioni di emarginazione, tutte figlie di un’unica scelta: quella di puntare su un modello economico del massimo profitto, senza alcuno scrupolo morale o materiale verso le persone e l’ambiente. Adesso che è cresciuta la sensibilità in questa direzione, non possiamo però far finta di non vedere le tante ed enormi ingiustizie che i poveri continuano a subire ogni giorno. Insomma, il fatto che la proposta di rilancio per l’Italia si orienti in una direzione generativa e di prossimità non può che passare dall’impegno di ciascuno per dirigere la barca verso un porto sicuro.

Le scuole chiuse segno di resa educativa, le strutture per anziani espressione di un sistema sanitario e sociale segregante, la scoperta di milioni di lavoratori “atipici e precari” segno di uno schiacciamento dei diritti, le famiglie lasciate in stato di abbandono soprattutto quelle che vivono condizioni di fragilità, politiche pubbliche selettive, … sono tutti segni preoccupanti di una società in cui chi si sente al sicuro gira lo sguardo verso un orizzonte sicuro e non vede più chi quella sicurezza non l’ha.

Se quello che si immagina è un welfare di prossimità il punto di partenza è la relazione che si crea tra le persone, quella che necessita di un accompagnamento e quella che questo accompagnamento lo sostiene. Non si tratta di un’azione erogativa, di una prestazione, ma di un progetto collaborativo agito in via sussidiaria da organizzazioni del Terzo Settore con il sostegno del Pubblico e il protagonismo dei cittadini. Se riforma dev’essere, allora sono i ruoli e il piano del dialogo a dover radicalmente mutare e questo passa dal riconoscimento del valore economico delle strutture e dell’apporto volontario che le organizzazioni del Terzo Settore e i presidi di cittadinanza attiva mettono in campo, oggi come domani.

Ma soprattutto passa dal riconoscimento del pilastro centrale di ogni società che sono le famiglie, tutte le famiglie, generative per definizione, resilienti per costituzione. Il covid insegna che il Paese ha bisogno delle energie delle famiglie e delle comunità resilienti, non servono stampelle da attivare in emergenza ma punte avanzate di uno sviluppo basato su quell’economia circolare che rigenera le persone e con esse i luoghi.

C’è una Comunità che si nutre di relazioni, che crea le condizioni perché si costruisca un circuito virtuoso nel quale nessuno resta escluso, in cui ciascuno cammina con il suo passo. Non solo servizi in risposta ad esigenze, ma anche momenti di aggregazione, tempi di riflessione, progetti costruiti insieme per migliorare gli spazi vitali della Comunità.

“Tendi la tua mano al povero”, è il titolo e il tema della lettera di Papa Francesco per la quarta giornata mondiale dei poveri, “è un invito alla responsabilità come impegno diretto di chiunque si sente partecipe della stessa sorte. È un incitamento a farsi carico dei pesi dei più deboli, come ricorda San Paolo: Mediante l’amore siate a servizio gli uni degli altri…Portate i pesi gli uni degli altri” Adesso è il tempo, non perdiamo altro tempo, per non rischiare di non avere più tempo.