I figli usati

rp_fasano_annamaria-150x150.jpgAll’interno della famiglia si possono vivere le esperienze più dolorose, i conflitti più devastanti, le mortificazioni, le umiliazioni, le sopraffazioni, i ferimenti dell’animo più tormentati, che vedono vittime i soggetti deboli. Sulla famiglia si è scritto tanto, si è detto di tutto, identificata o come la sede in cui l’individuo esplica la sua personalità (art. 2 Cost.), o come il nido delle emozioni, oppure, al contrario, come il luogo della sofferenza e dell’abbandono. Spesso la “casa” dell’amore diventa il terreno di scontro dei sentimenti, dove vessazioni fisiche e morali si concretizzano in abusi replicati. Gli attentati alla dignità e all’integrità fisica e morale dei componenti del nucleo familiare (coniuge, minori, nonni ecc.) spesso si compiono mediante comportamenti subdoli, di cosiddetta aggressività passiva, non sempre rilevabili all’esterno del contesto familiare, con attività denigratorie.

Il mondo degli affetti è estraneo al diritto, per tale ragione l’ordinamento interviene solo nel momento in cui la crisi emerge all’esterno e solo quando si impone la necessità di tutelare un soggetto “debole”, titolare di posizioni giuridiche soggettive meritevoli di essere garantite dall’ordinamento. Gli abusi che si consumano ai danni dei bambini sono spesso manifestazione di cattiva gestione della funzione genitoriale, ed a volte sono tanto gravi da produrre danni alle aspettative di crescita ed equilibrato sviluppo psico-fisico. Tali situazioni si manifestano frequentemente al momento della crisi del rapporto coniugale, che diventa un fattore scatenante del cattivo esercizio della “responsabilità” genitoriale (v. legge n. 219 del 2012). Le espressioni del conflitto possono essere le più varie: tra queste, anche l’uso dei figli come strumento di ritorsione nei confronti dell’altro coniuge.

Si pensi alla cosiddetta sindrome da alienazione parentale, come si suole chiamare l’effetto di una condotta genitoriale finalizzata ad allontanare, in perpetuo, l’altro genitore dall’affetto del figlio. Per tali situazioni il legislatore, molto opportunamente, ha introdotto, con la legge 8.2.2006, n.54, una nuova disciplina repressiva, contenuta nella norma processuale di cui all’art. 709 ter c.p.c., che si applica in modo uniforme in tutte le situazioni di conflitto genitoriale (separazioni, divorzi, scissioni di coppie di genitori naturali e nullità di matrimoni).

Ogni tipologia di abuso è sanzionata penalmente, a cui spesso seguono anche provvedimenti giudiziali di decadenza della funzione genitoriale; ma, per tali conseguenze, è necessario che i pregiudizi affiorino all’esterno. Se l’abuso sessuale e le vessazioni fisiche lasciano tracce, pur essendo difficili da valutare e da attribuire, esiste una forma di maltrattamento più insidioso ed anche più doloroso, quello psicologico, che non lascia segni chiaramente visibili e si manifesta con sintomi che non sono riscontrabili, perché proiettati all’esterno del nucleo familiare.

Spesso il bambino diventa vittima di condotte persecutorie, di isolamenti programmati, di discorsi sussurrati, di alienazioni, di allontanamenti, di abbandoni, di trascuratezze ripetute, di silenzi, di patologie delle cure. Il maltrattamento psicologico comprende una vasta gamma di comportamenti tendenti a ferire il bambino nei sentimenti, nei rapporti interpersonali, portandolo all’annichilimento emotivo, al ripiegarsi su se stesso, alla mancanza di assoluta reazione. Si sviluppano così gravi danni psicologici, con effetti indelebili, che possono manifestarsi, in modo acuto e grave, in età adulta. Oggi l’ordinamento nazionale e la comunità internazionale offrono una fioritura di norme poste a presidio di beni giuridici fondamentali, che assicurano la centralità della tutela del bambino, non più solo come figlio della sua famiglia, ma anche come cittadino, con uno status nell’ordinamento, fatto di situazioni giuridiche “pretensive”, delle quali i genitori sono soltanto uno strumento di attuazione giuridica e giudiziaria. Ma è la “casa” dell’amore a dover assicurare all’infanzia il “diritto al benessere”, perché la realizzazione del progetto genitoriale passa necessariamente attraverso la tutela dei diritti della persona.

Annamaria Fasano
Magistrato, Ufficio Massimario presso la Suprema Corte di Cassazione