I bambini “commissionati”

Negli ultimi anni si stanno verificando numerosi casi di italiani che si recano all’estero per ottenere un figlio attraverso la maternità surrogata. Rientrando in Italia ne chiedono il riconoscimento anagrafico. Il comportamento dei comuni è difforme, così come quello dei tribunali allo scopo consultati, dando luogo a comportamenti differenti. La Corte di Cassazione, a sezioni unite, si è recentemente pronunciata contro la richiesta di due uomini di iscrivere come figli due bambini ottenuti con maternità surrogata. I due si erano recati in Canada dove uno aveva fornito il suo sperma al fine di produrre embrioni in vitro fecondando ovociti prelevati da una donna “donatrice”. Alcuni degli embrioni umani ottenuti erano poi stati trasferiti nell’utero di una seconda donna che si era impegnata a portare avanti la gravidanza e consegnare i figli alla nascita. In Canada tale pratica è legale, a patto che si compia a titolo gratuito. I due uomini erano così rientrati in Italia con i due neonati e un certificato che li riconosceva entrambi genitori.

Nel presentarsi all’anagrafe del loro comune di residenza per registrarli si erano visti negare tale richiesta. O meglio, era stata riconosciuta al genitore biologico ma non all’altro. Ribaltando la sentenza della Corte di appello di Trento che aveva espresso parere favorevole alla richiesta dei due uomini, la cassazione vi si è opposta confermando la scelta del Sindaco. Le motivazioni addotte riguardano rilevanti questioni giuridiche a livello nazionale, compatibili col diritto internazionale. In particolare si rileva il divieto di maternità surrogata e l’inapplicabilità alle unioni civili di quanto disposto dalla legge che regola l’adozione. Tuttavia la Corte sostiene che non sarebbe escluso al legislatore la possibilità di conferire una qualche rilevanza giuridica al rapporto “genitoriale” con questo strumento. Si riconosce che la genitorialità non è necessariamente legata da un criterio biologico. Si nega tuttavia che possa essere frutto di un contratto fra privati, escludendo così il percorso previsto dalla norma in vigore per le adozioni.

Nella sentenza si ritiene inammissibile e contrario all’ordine pubblico riconoscere un rapporto genitoriale costituito da persone dello stesso sesso. L’articolo 29 della Costituzione infatti, come tutta la legislazione vigente, postula che i genitori debbano essere di sesso diverso. Un conflitto oggettivo, si rileva, fra la maternità surrogata e la dignità umana della gestante, come pure dell’istituto dell’adozione. Dell’interesse dei minori a permanere con le figure genitoriali attuali, ci si occupa solo per motivare che risulta indimostrata l’utilità di riconoscere due genitori dello stesso sesso, nonostante questi siano intenzionalmente e praticamente presenti come tali nella vita dei bambini. Dal punto di vista etico è invece di somma importanza rilevare come a questi bambini siano stati negati, anche con violenza, numerosi diritti fondamentali.

Non rispetta la loro dignità umana il fatto che siano stati commissionati, quindi trattati come una merce da produrre in laboratorio. Così il loro concepimento, la loro nascita e la loro situazione famigliare sono il frutto di un oneroso contratto che ha visto il concorso di numerosi intermediari. Si trovano ad avere così due madri biologiche delle quali nessuna risulta anagraficamente. La madre genetica si è limitata a fornire gli ovociti, quindi metà del patrimonio genetico col quale i due bambini dovranno fare i conti per l’intera esistenza. Ad essa assomigliano in aspetto fisico e da essa hanno ereditato almeno metà delle loro caratteristiche fisiche, patologie, inclinazioni, predisposizioni, pregi e difetti. Tuttavia con tutta probabilità non ne sapranno mai nulla.
La madre gestazionale li ha portati in grembo per i primi nove mesi della loro esistenza. Una relazione, si sà, fondamentale, da preservare sempre, se non per gravissimi motivi. Privati della sua continuazione affettiva, del sempre più riconosciuto valore dell’allattamento per la salute fisica e affettiva del bambino.Tali relazioni sono state volutamente spezzate secondo un contratto evidentemente iniquo. Del quale porteranno le conseguenze a vita non solo gli adulti che l’hanno firmato ma soprattutto coloro che ne sono stati il frutto. Sempre più infatti emergono le istanze di coloro che, venuti al mondo in circostanze analoghe, vanno alla disperata ricerca delle loro origini, a partire dall’adolescenza o in età adulta, anche molto avanzata.