I grandi misteri di una guerra per molti versi anomala

Si allungano i tempi, non aumentano le speranze di una pace – o almeno una tregua – che porti per lo meno alla sospensione dell’orribile macello. L’Ucraina pare essere destinata a soffrire ancora e non per poco, e con essa i suoi civili e i militari, ed anche quelle decine di migliaia di ragazzi mandati allo sbando in un Paese straniero a farsi ammazzare per l’orgoglio della razza, sostenuto da una strana idea della fede. Non dimentichiamoli: sono anche loro vittime, come i poveri morti di Bucha.

Cresce in Italia il desiderio di pace: encomiabile, ma talvolta alquanto ambiguo. Ci ricorderemo tutta la vita che, quando Jaruzelski fece il suo colpo di stato in Polonia, sui marciapiedi delle nostre città qualcuno sussurrava con l’aria di chi la sa lunga che in fondo i polacchi se l’erano andata a cercare; non aveva avuto senso morire per Danzica, figuriamoci per la Polonia intera. Oggi si dice lo stesso degli ucraini. Si tratta non di desiderio di pace, ma di opportunismo: non nel mio giardino. Il desiderio di pace, che attraversa il nostro mondo cattolico e la nostra società, per fortuna esiste ed è cosa ben più seria. Continuiamo a coltivarlo: è l’unica via d’uscita.

Prende corpo intanto qualche bozza di piano per risolvere la questione del Donbass e forse anche della Crimea. Edward Luttwak, ad esempio, propone un plebiscito sul modello di quelli tenuti nel 1919 in alcuni territori interessati dalla Pace di Parigi: che siano i popoli ad autodeterminarsi. Certo è che l’esito non sarebbe scontato, se è vero come è vero che i russofoni del Donbass non hanno costituito nemmeno una milizia per aiutare i liberatori venuti a salvarli. È, questo, uno dei grandi misteri di questa guerra per molti versi anomala, con i russi che non usano l’aviazione e si addentrano per i cunicoli dell’Azovstal con lentezza esasperante.

Un’idea non priva di senso giunge dalle parti di Mosca: dare a Donetsk e Lugansk uno status semiautonomo all’interno di una federazione con il resto dell’Ucraina. Ma ad avanzarla sono esponenti di quello che una volta era l’entourage di Mikhail Gorbaciov. Essendo questi a tutt’ora il politico più impopolare di tutte le Russie, è stata subito cassata: il senso comune è il peggior nemico del buon senso. Ma l’indeterminatezza generale è dimostrata soprattutto dalla questione del futuro della Crimea, e questa volta sono gli ucraini a dimostrare di avere le idee poco chiare. Zelensky apre ad una rinuncia, poi precisa che non se ne parla nemmeno: non è questione degli altolà della Nato (Stoltenberg non ha detto quello che gli è stato attribuito), ma delle spinte che non possono che essere presenti nello stesso governo di Kiev.

È, questa indeterminazione, colpa dell’intransigenza americana? Biden, che ha in testa le elezioni di metà mandato a novembre, ha commesso l’errore marchiano di trasformare il conflitto in una crociata contro Putin. Il quale, non va dimenticato, è al Cremlino in seguito allo svolgimento di elezioni che saranno magari state truccate, ma nessuno ha mai sollevato il problema fino al 24 febbraio scorso. Ergo, portarlo a Norimberga sarebbe processare un intero popolo, e che popolo. Truman perdonò ai tedeschi, Biden non potrebbe che fare altrettanto con i russi. L’Europa, per stabilizzarsi dopo il sisma che la sta percorrendo, ha bisogno di ben altro.

Due menti particolarmente lucide, Mattarella e Parolin, guardano lontano e immaginano una nuova Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa. Nel 1975, quando fu chiusa con una trattativa all’ultimo respiro, avviò la Distensione e, successivamente, la primavera dei popoli del 1989. L’idea, come tutte le buone idee, va serbata e rilanciata al momento opportuno. Ma questo momento chissà quando arriverà: per il momento prosegue la doccia scozzese di possibili aperture e chiusure immediatamente successive. Segno che i tempi non sono ancora maturi, per la pace, perché spesso in politica un conto è intuire la soluzione, un altro il tempo della sua realizzazione. Quando poi c’è la guerra le variabili aumentano, i tempi si allungano.

Nessuno, in fondo, sa cosa accadrà nelle prossime ventiquattr’ore. Azzardiamo un’ipotesi: proseguirà il macello. Serbiamo le buone idee, allora, per quando potranno essere esposte. E alimentiamo il desiderio di pace: che però sia quello vero, non quello di chi non vuole noie nel proprio giardino.