La giustizia “giusta” e la giustizia non “pronta”

Leggendo più di una volta la parabola di Luca riferita al giudice che rende giustizia alla vedova dopo che  aveva più volte insistito di condannare il proprio nemico, ho cercato di confrontare gli aspetti salienti relativi a quel contesto a quelli odierni. Posto che la giustizia ‘pronta’ può venire solo da Dio, come sottolineano le scritture, il giudice di allora come quello di oggi, interpreta le leggi secondo le dinamiche non sempre positive presenti nella comunità.

La giustizia resa alla vedova che nel mondo ebraico insieme ai bambini, in quanto soggetti deboli erano considerati degni di grande attenzione, avviene dopo moltissime pressioni. Alla fine il giudice pur di togliersela di torno decide di dargli ragione, aldilà del valore che dava alle offese che la vedova avrebbe subite. Portando questa dinamica ai giorni d’oggi, è indubbio che la stampa scritta e televisiva posseduta dai potentati, unitamente alla volubile pubblica opinione, influenzano in vario modo i comportamenti degli operatori di giustizia, al punto che si può dire evangelicamente che l’unica giustizia ‘pronta’ è quella di Dio o al massimo quella umana di un popolo che applica pienamente i suoi precetti nell’amministrare giustizia.

La preghiera che ci ha insegnato Gesù per rivolgersi a Dio, il Padre Nostro, dice: “Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori”. Ci indica in modo semplice ed umano il modo di coltivare il senso della giustizia; oggi diremmo non fare agli altri quello che non vuoi che gli altri facciano a te. Questo senso ‘comune’ di giustizia, si rafforza in potenza, tanto più entriamo nella logica cristiana di amare il prossimo come si ama se stessi. Dunque la giustizia giusta, appartiene alla misericordia di Dio ed al suo popolo quando gli è fedele.

Ma è significativo che nella preghiera che rivolgiamo al Padre Nostro, appena prima della indicazione di rimettere a noi stessi gli stessi debiti che rimettiamo agli altri, cioè il senso di giustizia da avere, c’è la invocazione: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Infatti sappiamo che dal lavoro l’uomo trae il senso della sua vita e della sua vocazione voluta dal Signore. Infatti il lavoro è sostentamento per se e per la famiglia; è realizzazione e dignità; è suo destino e vocazione come soggetto voluto per dare continuità al creato; è  manifestazione della sua natura di persona che con altre persone organizza la libertà ed autonomia propria e di tutti.

Dunque la privazione del lavoro, intesa nella sua valenza intera, toglie all’uomo ogni possibilità di vivere in un ambito giusto. Anzi nel momento in cui questi presupposti vengono meno,  e si fa agli altri quello che nessuno vorrebbe fatto a se stesso, si cade in uno stato di  dipendenza, veniamo privati di ogni soggettualità sociale, ci tolgono persino la possibilità di sostenerci in autonomia, e di partecipare al disegno del Creatore. Questa grande ingiustizia, alimenta il male che da linfa a tutte le forze che, in questa epoca, rappresentano il male: le mafie locali ed internazionali, il potere finanziario che mira a restringere l’autonomia delle persone e a svuotare la democrazia.

Peraltro non è un caso che la finanza internazionale, il potere sopra ogni potere odierno, si avvale dei paradisi fiscali per riciclare i proventi delle attività criminali del narcotraffico; del traffico delle armi; del traffico della prostituzione. In questa epoca di cambiamento e sbandamento del mondo, la ricristianizzazione delle nostre comunità, è il presupposto per la ‘Giustizia Giusta’. Insomma amare il prossimo come si ama se stessi, equivale a non fare agli altri quello che non si vuole sia fatto a noi stessi.