Genitore 1 – Genitore 2, la posta in gioco è la maternità surrogata

Maternità surrogata

La modifica della parola “genitori”, al posto di “padre” e di “madre”, nella CIE-carta di identità elettronica da rilasciare ai minori di 14 anni risale al 2015, a un decreto dell’allora ministro dell’Interno Alfano, ma poi nel 2019 vi era stata una correzione, con la reintroduzione di “padre” e “madre” grazie a un decreto del ministro Salvini. Rispondendo a una question time lo scorso 13 gennaio, il ministro Lamorgese ha giustificato l’imminente ritorno alla dizione “genitore” evocando il parere emesso il 31 ottobre 2018 dal Garante per la protezione dei dati, e a una nota più recente del Garante del 12 settembre 2020.

Ella ha spiegato che per evitare problemi ai minori privi di un padre e di una madre biologici conviene che il riferimento sia generico per tutti (“genitori”). Per comprendere di quali problemi si tratta, conviene riprendere il parere del Garante del 31/10/2018: “Le ipotesi sono quelle in cui la responsabilità genitoriale e la successiva trascrizione nei registri dello stato civile conseguano a una pronuncia giurisdizionale (sentenza di adozione in casi particolari, ex art. 44 l. 184/1983, trascrizione di atti di nascita formati all’estero, riconoscimento in Italia di provvedimento di adozione pronunciato all’estero, rettificazione di attribuzione di sesso, ex l. n. 164/1982) (…)”.

A suo tempo il Garante aveva tragicizzato gli effetti della modifica voluta e realizzata da, preconizzando indicazioni errate o dinieghi di rilascio della CIE: i due anni seguenti tuttavia non hanno fatto emergere le evocate carrellate di falsità in documenti pubblici. Passiamo in rassegna le vere ragioni che avevano fatto optare il Garante per “genitore” al posto di “padre” e di “madre”:

  • “sentenza di adozione in casi particolari, ex art. 44 l. 184/1983” vuol dire stepchild adoption. La modifica di cui al decreto del ministro Alfano del 23/12/2015 seguiva l’orientamento giurisprudenziale – inaugurato in quel periodo dal Tribunale per i minorenni di Roma – che dilata ultra legem le maglie dell’art. 44 della legge sulle adozioni, per ricomprendervi le adozioni da parte di persone legate all’unico genitore, in genere una donna rispetto alla compagna che ha avuto il figlio da fecondazione artificiale eterologa;
  • “trascrizione di atti di nascita formati all’estero” e “riconoscimento in Italia di provvedimento di adozione pronunciato all’estero” vuol dire in larga parte maternità surrogata, se altri ordinamenti ne prevedano già la registrazione, ovvero se aggirino l’ostacolo con un formale atto di adozione (e qui la coppia “omogenitoriale” è invece più di frequente composta da uomini);
  • “rettificazione di attribuzione di sesso” non ha bisogno di interpretazione.

E’ evidente che in casi del genere il minore non può restare senza documento di identità valido per l’estero, ma – come ha osservato il prof. Alberto Gambino – per superare ogni difficoltà sarebbe sufficiente aggiungere a “padre” e “madre” l’espressione “o chi ne fa le veci”. Perché il Garante e il ministro Lamorgese non prendono in considerazione la più semplice delle soluzioni? Quale è la ragione per tornare alla versione 2015?

La risposta potrebbe cercarsi nel fatto che il giorno prima della risposta alla question time da parte del titolare del Viminale, e quindi il 12 gennaio, le Sezioni unite civili della Cassazione hanno tenuto l’udienza e la camera di consiglio sulla controversia fra il Sindaco di un Comune italiano e due persone dello stesso sesso che pretendono “il riconoscimento in Italia (tale è la questione di diritto oggetto della decisione) di un provvedimento giudiziario straniero (…) che abbia dichiarato l’adozione di un minore in favore di una coppia omosessuale di sesso maschile ed abbia attribuito all’adottato le generalità dei genitori adottivi in luogo di quelle dei genitori biologici”.

È una illazione immaginare che il decreto annunciato dal ministro Lamorgese “si porta avanti col lavoro”, poiché prepara gli uffici dei Comuni a una eventuale decisione positiva della Cassazione? È certo che, al di là delle necessarie considerazioni di merito, resta un quesito di quadro: una scelta così delicata, qualunque essa sia, compete a un atto amministrativo quale il decreto ministeriale e/o a una sentenza, per quanto delle Sezioni Unite, o andrebbe riservata al Parlamento, visto che coinvolge non marginalmente diritti e istituti costituzionalmente fondati?