Fca e Renault, un matrimonio che s’ha da fare?

Non è una novità che il mercato dell’automotive stia subendo una profonda trasformazione, su spinta sia dall’evoluzione tecnologica sia di quella normativa soprattutto in tema ambientale; in quest’ottica i grandi gruppi automobilistici stanno investendo sempre più risorse nella creazione di nuovi modelli, di nuovi apparati di sicurezza e per il comfort dei passeggeri e in nuove soluzioni di alimentazione che, come oggi sembrerebbe, sono rivolte al segmento Ev, quello elettrico.

Per garantire la sostenibilità di questi investimenti è evidente che “le dimensioni contino” e, come già prospettato diversi anni fa, è credibile che si vada verso una razionalizzazione dei produttori attraverso un processo di aggregazione che porti, nel corso dei prossimi anni, a ridurre pesantemente il numero di case indipendenti. Un primo esempio lo si vide con la fusione fra Fiat e Chrysler qualche anno fa e, oggi, sempre lo stesso soggetto, adesso chiamato Fca (acronimo di Fiat Chrysler Automobiles), smuove il mercato proponendo una fusione con la francese Renault.

Sulla carta, come dalle parole del Ceo di Fca Mike Manley – che dice: “Nel gruppo Renault abbiamo trovato un partner affine che vede il futuro come noi” –  l’operazione potrebbe essere ottimale visto che i due gruppi apporterebbero al nuovo soggetto generatosi dalla fusione dei punti di forza complementari e permetterebbe di gestire un bouquet di marchi che coprano tutto il mercato, dal segmento lusso/premium con Maserati e Alfa Romeo, a quello economico con Dacia e Lada, oltre che a tutta la gamma dei veicoli commerciali a marchio Fiat e Renault, diventando il terzo produttore di automobili al mondo. Il merger, ovviamente, non esclude la partnership già esistente tra i francesi e le giapponesi Nissan e Mitsubishi che, in futuro, potrebbero anche divenire la “terza gamba” del nuovo polo, creando così un colosso che possa primeggiare nel contesto globale superando, per numero di vetture vendute, anche VolksWagen, attuale primo produttore mondiale.

La proposta è, ovviamente, al vaglio dei vertici di Renault che l’hanno accolta, sembrerebbe, molto positivamente giudicandola un’iniziativa “amichevole” e, sicuramente, di interesse per le sinergie che potrebbe creare e le opportunità sia industriali, sia dal lato della componentistica di Fca, sia per la tecnologia Ev di Renault, sia di mercato, per la rete commerciale che Fca porterebbe in dote, che si formerebbero ma ci sono dei punti critici nel progetto che discendono principalmente dall’ipotesi di fusione paritetica fra le due aziende.

Che significa? Semplicemente che per ogni titolo di Fca o di Renault in portafoglio agli azionisti verrebbe riconosciuta un’azione della nuova società che si andrebbe a creare; questo porta a una diluizione delle partecipazioni principali, ovviamente; e se dal lato di Torino non ci sarebbero problemi (Exor, quindi la famiglia Agnelli, scenderebbe tranquillamente dal 30.06% in Fca al 15.03% nel nuovo soggetto rimanendone, virtualmente il primo azionista) dal quello di Parigi la cosa potrebbe essere più complicata. Non è ignoto ad alcuno che il primo azionista di Renault sia lo Stato francese, con il 15.01%, che diverrebbe un mero azionista rilevante con il 7.505%, senza più la capacità di dare un vero indirizzo al gruppo creando, così, un caso politico.

Non è un caso che per dare un “via libera” all’operazione l’Eliseo chieda rassicurazioni sul mantenimento dei siti produttivi in Francia così del livello di occupazione nell’Esagono, cosa a cui si è accodata anche l’Italia senza, però, avere, in effetti, alcuna voce in merito, tanto che Claudio Borghi, presidente della Commissione Bilancio della Camera e responsabile economico della Lega, ha ipotizzato un possibile ingresso nell’azionariato da parte dello Stato italiano.

Benché su questo punto ci siano le rassicurazioni di John Elkann che nessuno stabilimento verrà chiuso resta un particolare finanziario che non può essere trascurato. Fca e Renault non sono esattamente due aziende paritetiche, anche solo valutando il fatturato che nel primo caso, nel 2018, si è assestato a oltre 110 miliardi mentre nel secondo a poco più di 57 miliardi. Anche il posizionamento tra i produttori vede la prima all’ottavo posto mondiale con 4.8 milioni di auto vendute contro il decimo della seconda con 3.9 milioni, inoltre Fca capitalizza quasi 24 miliardi di euro in borsa contro i poco più di 16 miliardi di Renault.

A livello di indebitamento, poi, i valori sono assai diversi tra le due aziende, poiché la prima chiude il 2018 con un indebitamento totale a 14 miliardi e mezzo di euro e la seconda a più di 51 miliardi e mezzo. In pratica il gruppo italo americano, oggi, vale almeno una volta e mezza il gruppo francese e uno scambio alla pari sarebbe estremamente penalizzante per gli azionisti dell’ex Lingotto.

Vero è che entrambi i gruppi siano, a livello di quotazione, ampiamente sottovalutati, almeno stando ai parametri tecnici. Per quanto riguarda il rapporto p/e (price/earnings), mentre quello di Renault è a 4.1, quello di Fca è a 5.6, più vicino al rage 13/15 considerato l'optimum, fra l'altro con un potenziale di crescita non indifferente che alcuni analisti calcolano a oltre 21 euro, valutando il brand equity dei marchi posseduti dal gruppo.

Credibilmente, oggi, uno scambio equo potrebbe essere a 3 azioni del nuovo soggetto ogni due di Fca contro un’azione nuova per ogni azione di Renault. Ovvio che questa situazione potrebbe essere superata con una compensazione monetaria, come extradividendo, per dire, da corrispondere a ogni azionista di Fca al momento della fusione ma la cosa sarebbe assai costosa e andrebbe ponderata molto attentamente.

Diciamo, quindi, che l’dea del nuovo colosso dell’automobile sia assai affascinante e foriera di non poche opportunità ma adesso, nel momento, chiamiamolo, “esplorativo” e “valutativo”, possono sorgere in tutti diversi dubbi che, però solo il futuro e il piano industriale che seguirà la finalizzazione del M&A potranno fugare.