Fase 2, anche il calcio deve tornare a vivere

Rileggendo le parole del premier Giuseppe Conte e ascoltando successivamente le dichiarazioni del ministro Spadafora, viene da chiedersi se la mano destra sa quello che fa la sinistra. Conte ha spiegato che dal 4 maggio riprenderanno gli allenamenti individuali e dal 18 quelli degli sport di squadra. Sì, no, forse, perché a stretto giro Spadafora ha precisato che non è sicuro che sia proprio così. Non stiamo su Scherzi a parte, siamo a parlare di atti governativi, decreti dei quali si presume, i diretti interessanti abbiamo dettagliatamente parlato. Per carità, la salute viene prima di tutto, nella vita ancor prima che nello sport, ma ciurlare nel manico intristisce la qualità di un Governo che pure ha avuto il merito di frenare, Lombardia esclusa, il virus. O almeno rallentarlo.

Che due esponenti di spicco della maggioranza, dicano, a distanza di mezz’ora, l’esatto contrario, fa riflettere. Perché se questo nuovo decreto aveva lo scopo di chiarire la situazione, ha inevitabilmente finito con confonderla ancora di più. A pensarci bene, è proprio il calcio a uscirne con le ossa rotte. Penalizzato rispetto al resto dello sport, quello individuale, che invece può riprendere a vivere. La parola d’ordine di Conte è quella di avere maggiore cura. Perfetto. Dunque, allenamenti in solitaria per tutti gli atleti di carattere nazionale. Non nei centri sportivi, ma all’aperto in un qualsiasi parco di una qualsiasi città. Come se Zaniolo o Immobile domani si mettessero a correre a Villa Ada. Separati, chiaramente. Finirebbero per l’essere sepolti dall’amore dei tifosi e quindi si creerebbero assembramenti.

Ma non sarebbe meglio dentro Trigoria e Formello, al riparo e sicuri di applicare tutti i protocolli sanitari? E così la divina Federica Pellegrini tornerà in vasca ad allenarsi, mentre un calciatore dovrà attendere, almeno fino al 18 maggio. Sempre che in quella data si decida di far allenare anche le squadre. Tre settimane di attesa che finirebbero per ingarbugliare ancor di più una situazione di suo già pesante. Perché dal 18 al 27, intercorrono appena nove giorni, quanti ne occorrono alla Figc per comunicare all’Uefa come si concluderanno i campionati. L’altro nodo inquietante è quello del protocollo, minuziosamente preparato dai medici della Figc. Si tratta di professionisti che da giorni lo hanno consegnato al Comitato Tecnico Scientifico. E Spadafora ne era a conoscenza da giorni, ma ha permesso di consegnarlo senza, essendone a conoscenza, alcuna obiezione. Che invece ha fatto ieri dichiarando che il protocollo al momento non è sufficiente.

E’ vero che a pensar male si fa peccato, ma qualche volta si indovina. E allora c’è da capire, ma le cose sono abbastanza chiare, chi si agita dietro questo no al calcio. Che, ribadiamolo per l’ennesima volta, rappresenta la seconda azienda del Paese, quella che versa nelle casse dello Stato la ragguardevole cifra di 1,2 miliardi di euro, che fa respirare con i suoi 250 milioni, le altre federazioni. Chi ha interesse a fermare il calcio è un irresponsabile. L’Italia, quella che produce, deve ripartire. Tutta, compreso il calcio che è quello, tra le federazioni, a mandare avanti la baracca. Far fallire il calcio, significa far fallire lo sport tutto. Benvenuto nel mondo reale, che qualcuno ignora, ma che dovrà guardare in faccia. Spadafora dice che il protocollo Figc è insufficiente (parole di Spadafora) e bene ha fatto il presidente Gravina ad avviare una procedura per far si che questi protocolli siano implementati al fine di renderli adeguati alle richieste governative.

L’unico nodo poteva essere rappresentato da un eventuale nuovo positivo nel mondo del calcio. Ebbene, il protocollo prevede che venga trattato al pari di un qualsiasi infortunio stagionale. Esattamente quanto prevede il Governo qualora la curva del contagio dovesse salire nel corso della Fase 2, non c’è necessità di fermare di nuovo il Paese, ma convivere con il virus, sia pur con le dovute cautele sanitarie. Disponibilità del presidente Gravina, ma attenzione, bisogna fare presto per non compromettere l’intero movimento. Se si viole finire la stagione il calendario non può prescindere dalla ripartenza, a porte chiuse, entro la seconda settimana di giugno, con un calendario formattizzato con partite ogni tre giorni per chiudere i giochi entro la fine di luglio e permettere il mese di agosto di pensare alle coppe europee.

Per fronteggiare la crisi, la Uefa è pronta a mettere in campo 236 milioni di euro per parare il colpo della crisi. Il resto, lo debbono fare le varie federazioni. Come dire, aiutati che Dio ti aiuta. Ma bisogna fare presto, presto in tempo di pandemia, abbiamo scoperto tutto e il contrario di tutto, tra virologi che un giorno dicono una cosa e il giorno seguente non sanno che fine farà il virus, francamente ne abbiamo abbastanza. Le decisioni, non possono più essere rimandate. Giusto riaprire tutto da giugno, ma anche il calcio deve tornare a vivere, pena la morte dell’intero sistema sportivo. Se poi a qualcuno fa comodo fare spallucce, si dichiari subito, perché il Covid-19 ha già seminato un solco profondo nella nostra economia. Non aggiungiamo altri errori. Facciamolo tornare a rotolare questo pallone. Per favore.