Famiglia discriminata

Non so se si tratti di una semplice coincidenza, ma le due date ravvicinate per celebrare la Festa della Mamma e la Giornata internazionale della Famiglia hanno un grande significato, antropologico e sociale. La prima è strettamente legata alla seconda, e quest’ultima non esiste senza la prima. La confusione culturale che sta invadendo il nostro tessuto sociale – figlia, a sua volta, della dittatura del relativismo – non perde occasione per attaccare il più solido dei fondamenti naturali che hanno permesso l’evoluzione dell’umanità: la famiglia, società naturale fondata sul matrimonio.

L’incertezza sembra diventata la cifra del nostro tempo, il dogma indiscutibile, e chiunque cerchi di ricordare che per appendere qualsiasi cosa, un chiodo è indispensabile, viene immediatamente ostracizzato come “integralista” non al passo con i tempi. Perfino quando scegliamo una giacca, abbiamo bisogno di un appendino per riuscire a vedere ogni dettaglio. E, dunque, a quale chiodo, a quale appendino vogliamo attaccare la costruzione della nostra civiltà, se perfino la più semplice delle verità viene negata? E cioè che l’istituto familiare è composto da un uomo ed una donna, alla cui complementarietà – biologica ed affettiva – è affidata la procreazione. Questo assunto non ha nulla di confessionale, non è necessariamente legato ad una professione religiosa, essendo un dato di fatto, naturale ed imprescindibile, che ha consentito il mantenimento della specie e che – in quanto tale – precede qualsiasi forma di costruzione dello Stato. Come affermato dalla nostra Costituzione, lo stato civile deve prendere atto dell’istituto naturale che garantisce la sopravvivenza dell’umano, tutelandolo con quel “favor iuris” che lo rende diverso da ogni altra forma di aggregazione umana.

Una società che nega la famiglia, assimilandola ad altre forme di convivenza affettiva, culturale, sociale, aggregativa, d’interesse condiviso, è destinata all’estinzione, ancor prima ed anche al di là di politiche – pur assolutamente necessarie – che cerchino di vincere l’inverno demografico. Quando una strada porta verso un burrone, non serve a nulla stanziare fondi per asfaltare la strada: bisogna cambiare strada. Il legittimo riconoscimento di diritti legati alla persona, anche all’interno di una relazione affettiva, non ha e non deve avere nulla a che fare con l’istituto giuridico familiare, in quanto “strutturalmente” diversi. E proprio in nome del contrasto ad ogni forma di discriminazione, considerato che non vi è nulla di discriminatorio se si tutelano in modo diverso condizioni che sono strutturalmente diverse. Al contrario – proprio come sta accadendo oggi – il vero oggetto di discriminazione è la famiglia, società naturale. Dobbiamo partire, o ripartire da qui, come fondamento su cui costruire politiche di welfare coerenti: apertura alla vita, famiglie numerose, compatibilità lavoro/maternità, sostegno all’infanzia, a disabili o anziani accuditi in casa.

Perché la nostra società sta morendo? Perché nei Paesi dove lo Stato sociale è certamente più generoso ed attento del nostro, ma la “famiglia” è dissolta nella sua essenza profonda, non cambia il trend della denatalità? E i parametri del disagio sociale – dal tasso dei suicidi alla dipendenza da alcool e droghe – non diminuiscono per nulla? Perché come cercare di rifare l’abito, se chi lo porta è malato, malato dentro, malato nella mente e nell’anima… Dobbiamo tornare alla Verità, a quel chiodo senza il quale tanto il singolo quanto la società crollano. Il lavoro è enorme, ma il primo passo è certamente recuperare la bellezza della famiglia, la bellezza di quella comunione di anima e corpo che genera nuove vite.