Come la storia di Evelin ha cambiato le nostre coscienze

Quando fummo avvertiti che sul greto di un torrente, nei pressi di Senigallia, c’era una giovane donna, probabilmente morta, ci portammo subito sul posto. Ho un vago ricordo di quella notte, forse volutamente per tanti anni ho voluto dimenticare quella povera ragazza morta avvelenata dopo atroci sofferenze. Ricordo che quella sera dissi ai miei collaboratori della Squadra Mobile che neanche sembrava una persona quella ragazza riversa sul fossato, ma una bambola rotta.

Evelin Okaodua divenne per tutti noi semplicemente Evelin, una delle tante ragazze che avrebbe voluto scappare dalla schiavitù, che si era ribellata agli aguzzini e che era stata uccisa con crudeltà perché la sua morte servisse di lezione alle altre. Allora non si parlava di mafia nigeriana ma di organizzazioni criminali gestite dalle cosiddette madame. Fu in quel periodo che si consolidò la mia amicizia con don Oreste e don Aldo. Come dicevo nelle Scuole di Polizia ai giovani allievi che restavano affascinati dai miei racconti, con Don Oreste e la Papa Giovanni XXIII cambiò il modo di intervenire delle Squadre Mobili. Prima Rimini poi Ancona. Prima le ragazze sulla strada per noi poliziotti erano solo puttane, dopo don Oreste e don Aldo le ragazze erano tornate ad essere creature umane che avevano bisogno di aiuto. Evelin aveva una catenina con una piccola croce ancora al collo quando trovammo il suo corpo e fui io a proporre a don Oreste e don Aldo di celebrarle un funerale cristiano.

Quella catenina fu il suo passaporto per farsi riconoscere come cristiana. Ci fu una cerimonia nel duomo di Senigallia, autorizzata e celebrata da Sua Eccellenza Mons. Orlandoni e fu commovente vedere in chiesa tante ragazze come Evelin pregare, piangere, cantare. Il rullo dei tamburi ed i canti africani resero l’estremo saluto alla ragazza. Le sue giovani amiche cantavano e piangevano con una sofferenza unita a speranza.

Don Oreste prese la parola per ultimo chiamando le ragazze sorelline, poi, il suo sguardo buono da prete di campagna si fece cupo, divenne severo e si scagliò in una filippica contro di noi, autorità. Don Oreste riuscì a farci vergognare. “Cosa fate per queste ragazze?! Siete voi che le dovreste proteggere!”. Decisi in quel giorno che non mi sarei risparmiato. Per anni con don Aldo ho passato tante notti cercando di portare via le ragazze dalla strada. E debbo dire che ne abbiamo portate via tante. Ma la legge del traffico degli esseri umani è una legge di tipo economico, quindi è regolato dalla domanda e dalla offerta. Più ne porti via e più ne arrivano, e dalla madame e dal contratto siglato con il rito Voodoo siamo passati alla mafia nigeriana, una tra le più feroci e crudeli. Alla base di tutto il denaro. La mafia allunga i propri tentacoli verso tutto quello che è redditizio e il traffico degli esseri umani lo è. Le Marche sembrano essere diventate una loro meta.

E per prevenire la nostra Regione da fenomeni criminali così pericolosi abbiamo bisogno di bravi investigatori e anche bravi Giudici ma soprattutto abbiamo bisogno di una efficace opera di prevenzione che costituisca un efficace argine a questo tremendo fenomeno criminale. Se l’offerta è data dalla mafia nigeriana la domanda arriva dai nostri connazionali, giovani ma perlopiù anziani, che pensano di poter abusare di una ragazzina per 50/100 euro e che neanche si vergognano di fare l’attesa per il proprio turno – all’aperto – come se fossero davanti ad un teatro. Ma non è una rappresentazione teatrale quella che si consuma davanti ai loro occhi: è abuso, è violenza nei confronti di un essere umano, una creatura non diversa dalle nostre figlie. E Dio ci chiederà conto non solo di non aver abusato una di queste creature, ma anche di non aver fatto nulla per aiutarle, per fermare quell’abuso. E se l’omissione nel Codice Penale è configurata come reato nella coscienza di un Cristiano questa omissione è configurata come peccato.