Eutanasia e suicidio assistito: due facce della stessa medaglia

Eutanasia: sì o no? Suicidio assistito: sì o no? È un dibattito per nulla nuovo nella nostra Italia, ma negli ultimi mesi si è “arricchito” (si fa per dire) di alcuni passaggi che vale la pena di affrontare. Il primo è certamente rappresentato dall'Ordinanza 207/18 della Corte Costituzionale in cui si chiede al Parlamento di affrontare il problema di una ridefinizione dell’articolo 580 del Codice Penale, quello che punisce e sanziona istigazione ed aiuto al suicidio. Per la verità, la Corte si spinge anche più in là – con uno strappo istituzionale non da poco – fissando un tempo alla potestà legislativa del Parlamento: entro il 24 settembre. Se tutto tace su quel versante, sarà la Corte stessa a “ridefinire” il 580.

Il secondo è di poche ora fa: il Comitato Nazionale per la Bioetica – organo consultivo della Presidenza del Consiglio in ordine a temi eticamente sensibili – dopo un dibattito interno durato un anno, ha deciso di ufficializzare alcune “riflessioni”, con lo scopo dichiarato di fornire al Parlamento considerazioni su cui meditare e decidere, come è suo dovere. Proprio su quest'ultimo passaggio vorrei soffermarmi. In primis si tratta di “riflessioni” e non di un parere, come qualcuno ha strumentalmente dichiarato (con l’evidente finalità di manipolare il dibattito in corso) e con l’aggiunta che anche all’interno del comitato le posizioni pro e contro sono state quasi paritarie. A conferma che si tratta di un tema delicatissimo, pericoloso e per nulla scontato, essendo in gioco nientemeno che l’orientamento della società circa la “disponibilità” della vita umana. A mio avviso, questo documento presenta due importanti criticità: si coniuga il principio di autodeterminazione con il principio di rispetto della dignità della persona umana, e – certamente più grave sul piano della prassi sociale – si dichiara che eutanasia e suicidio assistito sono pratiche diverse, non assimilabili. Partiamo da qui.
Eutanasia significa somministrazione da parte di un medico di una pozione letale ad un paziente che lo richiede, finalizzata a provocarne la morte. Suicidio assistito: il medico prepara la pozione letale ma è il paziente stesso che se la somministra. Ricordate DJ Fabo? I medici avevano preparato la fleboclisi con il farmaco letale, ma fu Fabiano che – azionando una specie di pompa che gli avevano confezionato – diede il via all’infusione. Personalmente lo ritengo uno stratagemma abbastanza ipocrita e pilatesco per mettersi a posto la coscienza, soprattutto la coscienza di chi ha giurato di difendere sempre la vita e non farsi mai colluso con azioni di morte. Dunque, l’atto finale di un'azione eutanasica e di un'azione di aiuto al suicidio è esattamente lo stesso: la morte della persona. E la responsabilità morale è esattamente la stessa: aver posto fine alla vita di una persona. Cercare dei distinguo è un esercizio di “azzeccagarbugli” che non cambia in nulla la sostanza dell’azione malvagia. Non so se il grande pubblico se ne renda conto, ma la legittimazione dell’aiuto al suicidio come espressione di una libera scelta autodeterminata riguarda anche il comune cittadino della strada. Facciamo un esempio: se vedi un tale che si è gettato dal ponte e sta affogando mica ti passerà per la mente di gettarti in acqua e tentare di salvarlo? Quel tale ha esercitato il suo diritto di autodeterminazione e tu – cittadino esemplare – hai il dovere di non interferire, limitandoti invece ad “aiutarlo” nel suo proposito, restandotene sul parapetto del ponte a guardare!

Quando un’azione è malvagia, come l’aiuto al suicidio, tale rimane in ogni occasione e non fa differenza che si consumi in un ambulatorio medico piuttosto che su di un pubblico ponte. Il secondo aspetto critico: rispettare la dignità del paziente significherebbe rispettare la sua libera autodeterminazione. In pratica: se ha scelto di uccidersi e non è in grado di farlo materialmente, rispettare la sua dignità vuol dire aiutarlo a compiere la scelta suicidaria. È così? Proprio no. La dignità della persona umana è valore assoluto, che si acquisisce con l’esistenza in vita e non si perde neppure dopo la morte. La dignità non è legata alla capacità o meno di autodeterminarsi. Se così fosse – e purtroppo è in atto una deriva culturale che questo sostiene, arrivando a chiedere l’eliminazione di chi non è mai stato (bambini cerebropatici) o non è più in grado (dementi, stati vegetativi) di autodeterminarsi – cadrebbe tutta la secolare struttura che ha consentito di costruire la società civile. Inoltre l’autodeterminazione non significa sempre e necessariamente una scelta di valore, coerente con la dignità della persona umana. Chi si autodetermina per il consumo di droga, compie una scelta palesemente sbagliata e la società ha il dovere di intervenire con tutti i mezzi leciti necessari. Chi decide di suicidarsi – da che mondo è mondo, per dirla con Manzoni – compie una scelta sbagliata e una società veramente civile ha il dovere di intervenire per modificare l’insana determinazione.

In conclusione, non tiriamo in ballo la dignità della persona per tentare di giustificare un’azione di aiuto al suicidio. Certamente, ora ci troviamo davanti ad un pericoloso cortocircuito fra poteri dello Stato: da una parte la Corte pronta ad intervenire a scadenza “ultimatum”, dall’altra un Parlamento incapace di trovare una condivisione legiferativa che risponda al “compito” che la Corte gli ha assegnato. C’è una via di uscita? Personalmente credo di sì e il pdl Pagano/Turri si muove in quella direzione. Il Parlamento, forze di governo e non solo, trovi un testo condiviso che mantenga il 580 ribadendo la gravità dell’azione, rimodulandone qualche aspetto, così che la Corte debba prendere atto che il potere legislativo ha fatto il suo dovere. Contemporaneamente, si lascino fuori della porta istanze pro-eutanasia, che non sono per nulla una priorità del popolo italiano. Basta tifoserie ideologiche mortifere, che alimentano solo la cultura dello scarto.