Europa, ultima chiamata a una solidarietà comune

Se vogliamo essere ottimisti, possiamo pensare che questa difficoltà dei governi europei di trovare un rimedio comune alla pandemia da Coronavirus, assomigli alle doglie del parto: l’Europa in fondo è cresciuta sempre grazie alle prove dei momenti più difficili, è riuscita a fare i passi verso l’integrazione proprio grazie a sforzi straordinari. Auguriamoci che sia così. Auguriamoci che il secondo round della riunione dei ministri delle Finanze dell’area Euro trovi un compromesso soddisfacente, non di pura facciata, che porti ad azioni efficaci per contrastare le conseguenze economiche della pandemia che rischiano di essere gravosissime.

Che insomma si metta d’accordo su una forma convinta di solidarietà comune, di superamento degli egoismi nazionali e delle ottusità di paeselli come l’Olanda che hanno i conti in ordine grazie, più che all’esportazione di tulipani e di zoccoli di legno, alla sleale concorrenza fiscale che fanno ai partner e alla disinvolta gestione del porto di Rotterdam. E soprattutto che la Germania sappia imporre a se stessa la responsabilità di paese guida del Continente, proprio come fecero gli Stati Uniti dopo la Seconda Guerra Mondiale, se non vuole perdere forse l’ultima chiamata per smettere di essere un gigante economico e un nano politico. Se così sarà, i paesi del “fronte Sud” dell’Europa – non sentendosi piantati in asso dai “falchi del Nord” proprio mentre contano i morti e temono per il loro futuro – terranno a bada tutti gli istinti anti europeisti che ormai dilagano tra le loro élites e non solo negli strati popolari più svantaggiati.

Se invece un compromesso non si raggiungesse né all’Eurogruppo né alla successiva riunione dei capi di Stato e di governo, l’Europa imboccherebbe una strada molto pericolosa, in fondo alla quale ci potrebbe non solo una crisi economica fuori controllo e una montagna di disoccupati, ma anche una sua dissoluzione di fatto. Quando il presidente del Consiglio di uno dei paesi fondatori della Comunità, l’Italia, sempre considerata tra i più convinti europeisti, arriva a dire: “O si trova un accordo o noi faremo a meno dell’Europa” vuol dire che si sta toccando un punto di non ritorno. E anche se la Bce dovesse ancora una volta, come con Draghi durante la crisi finanziaria, supplire l’inazione dei governi, questo non salverebbe l’Europa, il suo “spirito” prima ancora che le sue istituzioni pachidermiche, lente, costose, iperburocratizzate, facile preda di tutte le lobby soprattutto dei cosiddetti paesi virtuosi del Nord.

Il coronavirus insomma potrebbe essere qualcosa di più di una tremenda pandemia, rivelandosi piuttosto il detonatore di una bomba atomica che sta sotto i nostri piedi.