Epidemia Covid-19: i problemi ancora aperti

Durante il mese di settembre la situazione dei contagi Covid-19 è andata progressivamente migliorando con una diminuzione sia nel numero che nella percentuale dei tamponi positivi sul totale dei tamponi eseguiti. C’è stata una minore pressione su ospedali e terapie intensive. Inoltre, il numero dei decessi, che è l’ultimo paramento ad aumentare nella fase di ascesa della curva e l’ultimo a diminuire quando questa discende, è in riduzione. Anche l’incidenza dei casi per 100.000 è al di sotto di 50 e ciò ha consentito ormai da tempo di riprendere il tracciamento dei contatti.

In questo scenario epidemiologico sostanzialmente positivo vi sono però alcuni segnali rilevati nell’ultimo periodo che indicano un certo rallentamento della discesa della curva testimoniato, ad esempio, da una stazionarietà (o lievi oscillazioni in crescita) dell’Rt che rimane comunque al di sotto di 1. E’ di fatto in atto una competizione tra la diffusione del virus – la variante Delta è più trasmissibile delle altre – e il numero dei soggetti protetti con il vaccino che raggiunge oggi l’80% della popolazione vaccinabile, traguardo questo ragguardevole anche se non sufficiente al raggiungimento dell’immunità di gregge.

Restano ancora alcuni problemi aperti. La durata della protezione vaccinale e quindi la necessità o meno di una terza dose che, oggi, viene saggiamente limitata a soggetti più fragili per patologia ed età, ma che domani potrebbe ampliarsi ad altre categorie di persone. La stagione fredda, con la co-circolazione del virus influenzale per il quale è indispensabile eseguire la protezione vaccinale specie nelle categorie a rischio. Ad oggi le riaperture non hanno determinato un impatto significativo sull’aumento dei contagi anche se, proprio in vista di situazioni che si potrebbero venire a creare con la stagione fredda, sarebbe importante per quel che attiene i mezzi di protezione ed in particolare l’uso della mascherina.

In quella logica che ha contraddistinto questa pandemia fin da subito sia in Italia che in Europa, è importante che al rigore nel rispetto delle norme di prevenzione si associ, quando è possibile dal punto di vista epidemiologico, un allentamento delle stesse. Per questo motivo la proposta del sottosegretario alla Salute, Pierpaolo Sileri di attuare la quarantena solo per i contatti stretti dei positivi potrebbe andare in questa direzione. Come sempre però è avvenuto nel corso di questa pandemia, nel caso si attuasse questa misura, bisognerà verificare che non abbia dei contraccolpi negativi sulla curva dei contagi. Pronti quindi a ritornare indietro se necessario.

Esiste poi un problema di natura generale che è stato più volte sottolineato e che riguarda la diffusione che questa infezione/malattia ha nel mondo e in particolare nei Paesi a risorse limitate. A questo proposito non posso non ricordare che per 12 anni (dal 2006 al 2018) ho diretto il Centro di Ateneo per la Solidarietà Internazionale (CeSI) che ha sviluppato programmi di tipo solidale in molti Paesi del mondo, compresa l’Africa.

Attualmente, abbiamo in corso alcuni programmi in Uganda e in Tanzania e dalle notizie che ci giungono la situazione in Africa risulta essere particolarmente delicata, sia per lo sviluppo dei contagi sia perché questa pandemia ha modificato, in senso peggiorativo, l’offerta sanitaria anche per patologie diverse da Covid-19. Non è certamente facile disporre di un quadro preciso sulla diffusione dell’infezione in Africa, anche se i dati sembrerebbero indicare che l’impatto, pur pesante, è minore, in termini di malattia clinicamente evidente e decessi, rispetto ad altri continenti, con l’eccezione del Sud Africa dove circola una variante più trasmissibile con caratteristiche epidemiologiche più simili a quelle di Stati Uniti ed Europa. Questa ridotta diffusione è probabilmente legata al fatto che la popolazione africana è relativamente giovane e ciò determina lo sviluppo prevalente di forme asintomatiche o pauci-sintomatiche. Varie organizzazioni sanitarie internazionali hanno però sottolineato che solo un abitante su dieci dei Paesi africani riceverà il vaccino, a meno che non ci sia (come è avvenuto a suo tempo per Hiv/Aids) una mobilitazione internazionale per modificare le strategie attuali, portando a un aumento del numero dei vaccinati. Il programma Covax sviluppato dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea e dal Regno Unito si è impegnato a garantire un’ampia vaccinazione agli individui di queste popolazioni, anche se si prevede comunque che solo il 20% di essi riceverà la vaccinazione entro la fine del 2021.