Energia, quello che cambierà dopo la guerra in Ucraina

L’invasione russa in Ucraina si è mostrata come uno degli atti bellici più terrificanti degli ultimi decenni in Europa, fin dalla conclusione delle crisi nei Balcani nel vecchio Continente nessuno aveva più avuto una reale percezione di cosa fosse una guerra che veniva considerata una tragedia lontana, nel tempo e nello spazio, tanto che i vari conflitti, mai sopiti, nel resto del globo sembravano quasi una storia, una cosa che non riguardasse più nessuno di noi. Tutto questo si è frantumato di fronte agli avvenimenti delle ultime settimane, fatte di immagini terribili raccolte a poche centinaia di chilometri dai nostri confini e di tentativi di comprendere il perché tutto questo stia accadendo.

Una cosa è certa, domani, quando questa tragedia finirà, non sarà possibile che si ripristini lo status quo, soprattutto in merito a un settore che ha mostrato come le azioni di guerra impattino direttamente sulla vita di tutti, anche se non parti belligeranti. Si sta parlando dell’approvvigionamento energetico. Accendere le luci di casa, la TV, il forno o usare scaldabagno e riscaldamento sono azioni comuni, che si fanno anche sovrappensiero ma sono la dimostrazione di come la società moderna sia energivora.

L’evoluzione umana è sempre stata accompagnata dall’uso di fonti energetiche, in maniera sempre crescente, dal fuoco per scaldarsi e cuocere i cibi, all’energia animale per la trazione di mezzi di trasporto e agricoli, all’energia cinetica delle acque o del vento per le mole dei mulini, all’avvento dell’uso del vapore e dell’elettricità per permettere un vero sviluppo industriale e aumentare il benessere degli individui. Questa energia, però, va prodotta.

Allo stato tecnologico attuale la via principale per la produzione di energia resta la trasformazione dell’energia cinetica in energia elettrica ottenuta tramite le turbine che possono essere mosse dall’energia gravitazionale delle acque in caduta (l’idroelettrico), dalla pressione dei gas o del vapore generata dalla combustione di idrocarburi o da reazioni nucleari. Le cosiddette fonti rinnovabili, idroelettrico escluso, hanno un apporto nettamente minore non potendo garantire né la continuità di produzione né la copertura dei picchi di domanda. Questo cosa c’entra con la guerra, però?

Il punto chiave è che l’Europa dipenda dalla Russia per il 40% delle importazioni di gas (l’Italia per il 38%) che è necessario sia per alimentare le centrali elettriche sia per il riscaldamento domestico. Concentrandoci solo sul nostro Paese possiamo vedere che, nel corso degli anni, si è assistito a una continua dismissione degli asset energetici più importanti, seguendo quella che viene chiamata la “sindrome NIMBY” (Not In My Backyard) travestita da una retorica ambientalista di maniera.

Questo ha portato a campagne politiche che, prima, hanno fatto dismettere il programma nucleare sfruttando i timori generati dall’incidente di Chernobyl, poi si è concentrata sul settore estrattivo, spingendo a dismettere la maggior parte dei siti per l’estrazione di idrocarburi sul territorio nazionale (chi ricorda i referenda “no triv”?) e, nel frattempo, diverse fazioni politiche fecero muro contro l’installazione dei cosiddetti rigassificatori, cioè quelle strutture che permettono di processare il gas liquido, trasportato da speciali “petroliere”, e immetterlo nel sistema di dispacciamento. Oltre a questo c’è anche chi si è battuto contro i nuovi gasdotti, come il TAP, che permettono l’accesso a altri fornitori rispetto alla Russia (in questo caso dall’Azerbaigian).

Ovviamente tutto questo è stato motivato da considerazioni pseudo-ecologiche, di deturpazione dell’ambiente e di “inutilità” per via degli investimenti negli impianti per lo sfruttamento del vento e del Sole, come se gli ettari di terreno consumati per queste installazioni non abbiano effetti sull’ambiente. Ora, con l’impennata dei prezzi dovuta all’attacco russo in Ucraina, forse si comincia a scorgere la miopia di queste posizioni.

È evidente che non sia possibile rimediare in poche settimane ad anni di politiche energetiche errate ma che serva un piano di ampio respiro che possa portare, in poco tempo (che, comunque, vuol dire qualche anno), ad avere un mix energetico sostenibile e fortemente dipendente da un unico fornitore. Non è un discorso anti Russia, sia chiaro, questo avrebbe dovuto essere un indirizzo di politica economica da perseguire fin dall’inizio perché è la differenziazione delle fonti energetiche la base per poter discutere di sostenibilità ed economicità (su ogni fronte, anche sui costi ambientali, è ovvio) dell’approvvigionamento energetico.

L’aggressione di Mosca a Kiev è, però, il campanello d’allarme, il punto che ha fatto comprendere a tutti che l’autosufficienza, se possibile, o, almeno, la sostenibilità delle politiche energetiche è fondamentale per poter garantire la crescita economica e l’incremento del benessere della popolazione.

Già l’Italia è il Paese che più penalizza il settore, con un costo energetico elevatissimo, dovuto agli aggravi fiscali lungo tutta la filiera, dalla produzione al consumo, e il saldo delle bollette di questi mesi, unito al prezzo alla pompa dei carburanti, ha fatto capire a tutti che qualcosa non quadri nella gestione del settore lungo tutta la penisola.

Con la benzina che è volata oltre i 2.4 euro al litro, superando il vecchio massimo di poco più di 2 euro al litro del 2012 (dopo gli aggravi previsti dal “Salva Italia” del Governo Monti), quando a Livigno, unica zona extradoganale italiana dove non si applichino accise e IVA, ha toccato 1,48 euro al litro, chiunque si è accorto che il ricarico applicato artificialmente dallo Stato sia troppo, al di là del rincaro delle materie prime visto che il prezzo massimo del petrolio è stato di 140 dollari al barile, segnato nel 2008, quando oggi, con oltre 35 dollari di differenza dal benzinaio si vede un prezzo di più di 60 centesimi al litro in più.

La necessità, quindi è un intervento globale e strutturale su tutto il comparto energetico, con meno tasse e una migliore differenziazione delle fonti e degli approvvigionamenti. Non è una cosa che si possa fare ma una che si debba fare ed è questo che dovrebbe essere impresso nella mente di tutti.