Ecobonus, una scossa all’economia del dopo Covid

Già si è detto in altre occasioni che per accedere ai finanziamenti, a fondo perduto o agevolati, del Recovery Fund debba essere presentato un piano di interventi che deve passare il vaglio della Commissione Europea. Vista la quota spettante all’Italia, circa 208 miliardi tra le due tipologie di erogazioni, l’elaborazione di questi progetti da mostrare in sede europea diventa fondamentale.

Tralasciando le opere strutturali che, con molta probabilità, avranno un ruolo centrale all’interno del documento da sottoporre ad esame due interventi espansivi, volti a spingere la ripresa in vari settori, diventano di sicuro interesse per la maggioranza degli italiani.

Non si parla dell’incentivo alle transazioni elettroniche e alla conseguente riduzione del contante con quel ventilato cashback che, comunque, si potrebbe pagare da solo riducendo il costo per lo stato relativo alla gestione della moneta fisica (che è circa 10mld all’anno) ma della proroga del taglio del cuneo fiscale e dell’ecobonus c.d. 110%.

Il primo ha un’utilità palese, riducendo il prelievo fiscale sul lavoro si spinge da un lato la ripresa del mercato relativo e dall’altro si stimola la domanda lasciando più soldi “in tasca” ai cittadini ma è il secondo che rappresenta un possibile volano per il rilancio di diversi settori economici.

Non è un mistero che il patrimonio degli italiani sia pesantemente sbilanciato verso gli immobili piuttosto che verso attività liquide come gli investimenti mobiliari, il problema è che buona parte di questa “ricchezza” versi in condizioni manutentive precarie, magari senza alcun intervento da decenni e, nel caso di abitazioni o locali commerciali in uso, siano decisamente energivore, soprattutto dal lato della climatizzazione.

La ratio dell’ecobonus sta qui, sfruttando la possibilità di cessione del credito di imposta a terzi è possibile realizzare le opere di ammodernamento degli edifici o di singoli appartamenti ad apparente costo zero per i proprietari spingendo, quindi, la commissione di tali lavori. Perché a costo apparentemente nullo, però?

Sempre per la solita questione, sintetizzata nel motto TANSTAAFL, che non esistano “pasti gratis” ma il conto qualcuno dovrà, prima o poi, pagarlo.

In questo caso si assiste a una socializzazione del costo a livello erariale, gli interventi, infatti, saranno finanziati dalla fiscalità generale che andrà a coprire il costo del debito contratto per finanziare il bonus, che sia un Eurobond, quindi tramite la contribuzione all’UE, o che sia tramite titoli di stato.

Il vantaggio, ovviamente, risiede nella servitù del debito, sicuramente più bassa rispetto a quanto potrebbe spuntare contrattualmente un privato, sia nella possibilità che il sistema economico riprenda il suo trend secolare di crescita permettendo di chiudere le obbligazioni contratte sfruttando il maggior gettito derivante dall’aumento della produttività.

Il nodo del discorso sta tutto qui: qual è il vantaggio nell’elargire un bonus fiscale superiore alla spesa realmente sostenuta?

La scommessa sull’effetto volano che, a livello aggregato, questo istituto possa generare sull’intero sistema economico. Una sola ristrutturazione, a livello di indotto, permette di attivare diversi settori produttivi, dalla componentistica alle costruzioni, dalla progettazione alla ristorazione, dalla finanza alla comunicazione e così via.

Ogni livello dovrà obbligatoriamente aumentare la sua produttività e si scommette anche su una maggiore redditività permettendo la circolazione di quelle risorse, finora, accantonate per via di aspettative fosche e, in questo modo, andare a stimolare l’azione produttiva e commerciale di ogni segmento economico coinvolto. Detto così sembrerebbe che i soldi si possano creare dal nulla per poter spingere l’economia, un po’ come credevano (e credono tutt’oggi) i cartalisti, ma non è così.

Riavviando il sistema aumenterebbe, di contro, anche l’occupazione e la redistribuzione del reddito per dinamiche di mercato e non per mero trasferimento da parte dello stato come con i sussidi e questo andrebbe, poi, a stimolare la domanda anche in altri settori, dalle televisioni alle vacanze e via di seguito.

Qualcuno, a questo punto, potrebbe pensare al moltiplicatore keynesiano e, in effetti, la ratio di un mezzo di politica espansiva come questo deriva proprio da quell’idea.

In realtà l’idea del moltiplicatore originaria non è di Keynes ma di un altro economista, Richard Kahn, che fu suo allievo che parlò di moltiplicatore dell’occupazione; questa teoria fu la base dell’elaborazione del concetto di moltiplicatore degli investimenti inserito nella Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta in cui il maestro citò l’allievo elaborando il concetto che divenne, poi, celebre e fondamentale nelle analisi macroeconomiche.

Come in questo caso di sviluppo teoretico, quindi, agisce uno strumento come l’ecobonus a livello di stimolo degli investimenti e, di conseguenza, di crescita del sistema economico. Sia chiaro che, comunque, si tratta di un’azione potenziale e non sicura poiché essa dipenderà da diversi altri fattori tra cui la fiducia degli attori del sistema.

Questo perché un investimento impostante come può essere l’ammodernamento del parco immobiliare italiano potrà attuarsi solo e soltanto se ci fosse fiducia nella permanenza del bonus (e qui l’ipotesi di proroga al 2024 utilizzando il Recovery Fund è assai opportuna) sia se i costi percepiti, fosse anche solo quelli burocratici, siano convenienti (e dalle prime battute parrebbe che da questo punto di vista siamo ancora in alto mare).

D’altro canto, chiamiamoli bonus o agevolazioni fiscali se preferiamo, questi interventi sono gli unici che possano veramente avere un risultato strutturale di stimolo alla ripresa economica, molto di più dei provvedimenti una tantum (come il bonus “monopattini”) o di quelli assistenziali che, in verità, hanno più lati negativi che di sostegno alle famiglie bisognose.

Diciamo che ora si apre la partita per far ripartire il Paese ma un mero input fiscale, ormai, non basta più perché è l’ossatura stessa dello stato che deve trasformarsi in una struttura più amichevole verso cittadini e imprese e efficiente nella gestione dei servizi ad essa riconducibili, al di là del cigno nero giunto quest’anno è lo stato stesso la causa della stasi del Paese, con il suo peso burocratico, i suoi costi e le sue inefficienze, per far ripartire strutturalmente il tutto è qui che si deve agire.