Ecco perché l’umanità non è più sprovvista di armi contro il Covid. Una guida ai farmaci anti-virus

Ci sono alcuni farmaci noti da tempo per i quali è stata ipotizzata e dimostrata una certa azione antivirale e immunomodulante e che sono stati per questo proposti (“reposing” secondo la terminologia anglosassone) per l’utilizzo in pazienti con COVID-19. Ecco una rapida descrizione dei farmaci che trovano impiego per il trattamento di COVID-19 mentre si cerca di definire meglio i tempi e le caratteristiche dei farmaci da impiegare, in base alla storia naturale dell’infezione.

IDROSSICLOROCHINA/CLOROCHINA. Dopo alcuni iniziali studi osservazionali, con risultati positivi sulla riduzione della mortalità, una serie di studi randomizzati controllati non sono stati in grado di dimostrare una riduzione della mortalità nei pazienti ospedalizzati. Per questo motivo attualmente l’idrossiclorochina/clorochina non vengono più somministrate, anche in ragione dei possibili effetti collaterali a livello cardiaco rappresentati da allungamento del QT e dalle aritmie. L’uso è sconsigliato da tutte le linee guida.

FAVIPIRAVIR. Si tratta di un inibitore dell’RNA polimerasi utilizzato in passato per il trattamento dell’influenza. Gli studi che sono stati condotti utilizzando questa molecola non hanno dato risultati positivi per il trattamento di COVID-19.

INTERFERONI. Gli interferoni, in particolare l’interferone beta, sono in grado di inibire la replicazione di SARS-CoV-2 in vitro e un difetto di produzione di interferone è stato segnalato in pazienti COVID-19 nei quali sono stati talora identificati autoanticorpi che neutralizzano gli interferoni. Tuttavia, i risultati degli studi sembrano non indicare un chiaro beneficio del trattamento con interferone nei pazienti COVID-19 gravi. Uno studio iniziale ha suggerito che l’impiego di interferone beta per via aerosolica potrebbe accelerare la guarigione, anche senza avere effetto sulla gravità di malattia o evento morte.

INIBITORE DELL’INTERLEUCHINA 1. E’ una citochina proinfiammatoria che si associa alle forme gravi di COVID-19 e che può essere bloccata da un inibitore rappresentato da anakinra. Uno studio condotto in Italia e Grecia ha valutato l’uso di anakinra somministrato per 10 giorni in pazienti che presentavano un elevato livello del recettore solubile dell’attivatore del plasminogeno dell’urochinasi (suPAR), marcatore questo di progressione verso una forma grave di malattia. I risultati ottenuti indicano un miglioramento della prognosi a 28 giorni e una riduzione della mortalità. Da segnalare che la maggior parte dei pazienti assumeva anche corticosteroidi. Un trial randomizzato che ha coinvolto 116 pazienti ospedalizzati con forme lievi moderate di COVID-19 non ha invece evidenziato un particolare effetto di anakinra nel migliorare la prognosi, ridurre la ventilazione meccanica e la morte. Anche l’impiego di un altro inibitore di IL-1, il canakinumab, somministrato a pazienti ospedalizzati in ventilazione meccanica non ha migliorato l’evoluzione della malattia rispetto all’usuale terapia. Anche gli inibitori delle citochine, delle chinasi del complemento delle bradichinine e di CSF sono stati oggetto di valutazione anche se i dati al momento non ne supportano l’uso nei pazienti.

LOPINAVIR – RITONAVIR. Dopo un iniziale impiego in terapia nelle prime fasi della pandemia, numerosi studi controllati non hanno dimostrato alcuna efficacia e per questo motivo questa associazione non viene più impiegata nel trattamento di pazienti COVID-19.

AZITROMICINA. Diversi studi randomizzati e anche osservazionali non hanno dimostrato alcuna efficacia del trattamento con azitromicina, da sola o in combinazione con idrossiclorochina.

IVERMECTINA. Una meta-analisi di 16 studi controllati nei quali veniva impiegata ivermectina non ha dimostrato chiari effetti su mortalità, necessità della ventilazione meccanica e durata dell’ospedalizzazione; per questo motivo non viene consigliato l’uso di questa molecola. Un recente studio clinico controlltato e randomizato ha dimostrato la non efficacia della Ivermectina.

VITAMINA D. Anche se l’apporto di vitamina D può esser utile nei pazienti con COVID-19, non vi sono dati che ne supportino l’impiego ad alte dosi per il trattamento di questa malattia.

ANTIBIOTICI. In considerazione della bassa incidenza di sovrapposizione batterica nei pazienti COVID-19, la terapia antibiotica non viene consigliata, se non per i pazienti che presentano quadri radiologici e segni laboratoristici suggestivi di una forma batterica; ciò anche per limitare l’impatto sull’antibiotico-resistenza.

CORTICOSTEROIDI. E’ ormai consolidato dall’uso e da una serie di studi che i corticosteroidi migliano la prognosi e riducono la mortalità se somministrati nelle fasi più tardive della malattia quando prevalgono i disturbi infiammatori. Associato a questi è utile l’impiego dell’eparina a basso peso molecolare che riduce il rischio di forme emboliche.

LA NUOVA FRONTIERA. Sono disponibili oggi farmaci efficaci che bloccano la replicazione virale se somministrati precocemente. Si tratti di Remdesivir, Molnupiravir e Paxlovid  che, in diversi studi, hanno dimostrato di ridurre l’ospedalizzazione e la morte. Sono anche efficaci gli anticorpi monoclonali anche se questi risentono contrariamente ai farmaci antivirali delle mutazioni del virus

I pazienti che sviluppano una grave insufficienza respiratoria sono sottoposti a terapia ventilatoria assistita sia di tipo non invasivo che invasivo o ECMO. Particolarmente efficace ai fini prognostici si è rivelata la pronazione supina dei pazienti in ventilazione assistita. Infine, dal momento che era stato segnalato un potenziale rischio di aggravamento dall’assunzione di farmaci ACE2-inibitori nei pazienti COVID-19 con ipertensione arteriosa che assumevano tale terapia, sono stati condotti adeguati studi controllati randomizzati che hanno permesso di escludere in maniera definitiva l’associazione fra terapia con ACE2-inibitori o sartani e rischio di ricovero o morte per COVID-19. Singole segnalazioni di studi, per lo più osservazionali, indicherebbero al contrario un favorevole esito in chi assume ACE-inibitori, anche se questo risultato andrà confermato in studi più ampi e controllati.