E se i migranti fossero nostri figli?

La vicenda del 25enne che ha deciso di togliersi la vita dopo aver visto annullato il suo permesso umanitario deve farci riflettere. Le persone non possono essere trattate come dei numeri: ognuna di loro ha la sua storia, le sue ferite. Se fossero nostri figli o familiari, come ci comporteremmo? Faremmo i salti mortali per salvarli e accompagnarli. Certo, non possiamo accogliere tutti i migranti provenienti dall'Africa, ma dovremmo comunque impegnare a potenziare i corridoi umanitari e ad aumentare il sostegno allo sviluppo e alla cooperazione.

I profughi in mare vanno soccorsi immediatamente, accolti e integrati. Non possono essere lasciati per giorni in balia delle onde. Integrazione vuol dire – come abbiamo fatto con l’attuale governo, ma prima con quelli guidati da Gentiloni e Renzi – inserire nuclei familiari nei Paesi di accoglienza. Ciò significa trovare un lavoro ai capi famiglia e individuare un percorso scolastico per i bambini. Questo significa creare la cultura dell'accoglienza, senza generare terrore e paura.

Come Comunità Papa Giovanni XXIII, avevamo subito dato la disponibilità ad accogliere i minori migranti trasportati dalla nave Sea Watch 3, giunta al porto di Catania. Avevamo, in particolare, individuato come struttura deputata a ospitarli la casa dell’Annunziata a Reggio Calabria. In un secondo ci siamo offerti di accogliere anche gli adulti, nelle nostre strutture in Francia, Germania, Portogallo, Croazia, Olanda, Spagna e Grecia. Questo perché ci sembra fondamentale allargare la prospettiva; siamo chiamati ad aprire varchi di condivisione e accoglienza, a costruire una chiave che poi permetta di aprire una porta.

Senza dimenticare le attività che svolgiamo in Africa. In Zambia e in Sierra Leone, in particolare, abbiamo inaugurato delle gelaterie. Così facendo diamo lavoro a dei ragazzi di strada, consentendo loro di contribuire al sostentamento famiglie. Probabilmente se non avessero avuto un'occupazione, una prospettiva per il futuro, questi giovani sarebbero morti nelle traversate in mare; oggi, invece vivono dignitosamente nel loro Paese.

Tutta l'Europa deve farsi carico del fenomeno. Istituzioni, ong e Chiese devono sentirsi coinvolte. Dobbiamo lavorare insieme, senza contrapposizioni. Per il bene di tutti.