E’ possibile un patto tra generazioni?

Parlare oggi di mezza età, riferendosi nello specifico ai cinquantenni, è diventato un concetto obsoleto, se facciamo riferimento a una generazione di persone che, per aspetto fisico, energie, capacità e voglia di fare, non è paragonabile, ad esempio, a quella di 30 anni fa. Oggi a 50 anni, sono un bel numero coloro che diventano genitori, che si creano una famiglia e, usando un termine molto alla moda, che sono smart, quindi, al passo con i tempi e in linea con il mondo globale.

In poche parole i cinquantenni di oggi, non avrebbero nulla da invidiare ai più giovani, se non fosse per la perdita di alcuni diritti sociali che, in molti casi, li pone in una condizione di stallo che non li vede andare né avanti né indietro.

Fino ad appena 20 anni fa erano considerati punta di diamante della società, consolidati nel proprio progetto di vita, personale e lavorativo, che, molto spesso, sfociava in carriere straordinarie, che traghettavano al sicuro approdo della pensione, conquista sociale per una serena vecchiaia, e punto di appoggio su cui contare per aiutare quei figli ancora in cerca di sicurezze economiche.

A questa classe di maturi si affianca quella dei giovani, sulla quale non si può e non si deve generalizzare, come spesso accade, in senso negativo. Ma è pur vero che non si può neppure sottovalutare, che tra loro, sono molti a non avere grandi stimoli o a ritrovarsi impigriti, quasi rassegnati ad una realtà non meritocratica, e in alcuni casi abitudinari nei loro agi, per poter lottare e conquistare il proprio futuro.

Infine i ragazzi dinamici, volenterosi, quelli che hanno studiato, che si sono laureati, specializzati, nella convinzione che tutto questo sarebbe stato un ottimo viatico per costruirsi un proprio ruolo nella società italiana. E occorre specificare “italiana”, perché dopo ripetuti tentativi e continue risposte negative, molti, hanno preferito andare all’estero, scelta che ad alcuni ha confermato i meriti, mentre ad altri non ha offerto le stesse opportunità.

Comunque si analizzi la nostra società, il divario generazionale si allarga sempre di più, allontanando tra di loro le due facce di una stessa medaglia, giovani e maturi, amplificandone il senso di incomunicabilità. Questo ha portato e porta ad una società stagnante, sempre più scollata ed individualista, piena di falsi miti, di boutade per fare notizia, dove la parola gossip (rubata all’inglese perché l’italianissimo “pettegolezzo”, non sembrava sufficientemente snob), è ormai imperante sui molti mezzi e strumenti di comunicazione, alimentati dalla fame diabolica di tutto il brutto che c’è di una società che pullula di alibi per non lottare, perché ribellarsi è troppo faticoso, e forse anche perché i cambiamenti fanno paura. Al centro di tutto ciò una classe istituzionale che, a più livelli, si è spesso incuneata nel solco dell’incomunicabilità tra le parti, per agire con decisioni tampone a medio termine e non ad ampio respiro.

Per citare De Gasperi “Un politico guarda alle prossime elezioni, uno statista alla prossima generazione”. Un periodo, questo che stiamo vivendo, nel quale una parte della nuova classe dirigente, ha ritenuto opportuno scardinare diritti e valori acquisiti, dopo lotte e conquiste sociali, affrontando pericoli, persecuzioni e anche carcerazione, perché i privilegi non fossero dei pochi ma dei molti, riscattando cosi un Paese, sottoposto per secoli ad abusi e soprusi in forme varie.

Tutto questo non dovrebbe essere dimenticato, ma ricordato costantemente dagli adulti e recepito dalla generazione iPhone, whatsapp e della rete. Se la storia e i suoi ricorsi fossero ricordati e assimilati per sapersi muovere nella vita, e non solo per avere un buon voto scolastico, o finalizzato al superamento di un esame, si capirebbe, che nella Storia, nessun diritto è stato conquistato a colpi di decreti legge, ma solo con una lunga lotta sul campo. Il senso di apatia imperante, invece, è purtroppo linfa per coloro che non gradiscono menti evolute, e che di queste ne vogliono avere il controllo.

Per citare questa volta Cicerone “Se non si fa uso delle opere dell’età passata, il mondo rimarrà sempre nell’infanzia della conoscenza“. Da tutto questo penso e giungo ad una riflessione finale: giovani e maturi possiamo, in ogni caso, considerarli i due opposti, che forse non hanno molto in comune, ma che come tutti i poli, alla fine si attraggono, vivendo entrambi, gli stessi problemi di esistenza e resistenza, se pur, come abbiamo detto, di natura diversa.

La parola chiave che li accomuna è in ogni caso futuro. I giovani che non riescono a costruirselo, e i maturi che fanno fatica a mantenerselo, preoccupati nel tener fede agli oneri presi in gioventù nella costruzione della propria vita e della famiglia.

Viene spesso da pensare a come la ricerca in ambito medico, negli anni, ci abbia allungato la vita, mentre dall’altra parte c’è chi, con scelte scellerate, vorrebbe toglierci gli strumenti per farlo. In conclusione “In media stat virtus“, per cui, di errori è piena la Storia, così come piena è di dietrologia. Ogni generazione ha compiuto passi falsi, ma il monito è sempre stato “Cambiare”. La Storia lo insegna, ma solo a chi la vuole ascoltare e capire.