E’ possibile fare comunione?

Vita di comunione: ecco, questa enunciazione può subito far sorgere in noi una domanda dietro la quale sta una dolorosa e persistente esperienza di difficoltà e forse di fallimenti: E’ possibile fare comunione? Circola nella nostra società – e per sino nell’ambito ecclesiale – una vena di pessimismo a questo riguardo. E’ possibile fare comunione, dal momento che l’uomo, oggi come in ogni tempo, si dimostra “lupo” verso il suo simile? Ci può capitare di trovarci scettici quasi senza renderci conto dell’incoerenza delle nostre idee con la fede che professiamo. Infatti, dire che fare comunione non è possibile, sarebbe come affermare che Dio è lontano da noi e che il Cristo è morto invano.

Fare comunione non è opera umana, ma divina. Di fatto, ciò che non è possibile all’uomo è prerogativa di Dio, di Colui che è comunione di Tre Persone.

Come la Chiesa – mistero di comunione – così la comunità religiosa – oggi parliamo in particolare della comunità monastica – nasce da una chiamata divina e si costruisce incessantemente sulla fede e sulla carità. Non può essere ridotta a semplice convivenza umana. Il vivere accanto non è ancora vivere “in” e “con” gli altri. Dobbiamo subito ammettere che nulla quaggiù è perfetto, ma che tuttavia qui ha inizio ciò che sarà completato nel mondo futuro. La comunione è possibile solo per il continuo superamento della natura umana in forza della grazia divina.

Oggi si è molto attenti all’aspetto culturale e psicologico della vita personale e comunitaria. Ci si rende conto che la gran parte dell’umanità soffre di conflitti e di squilibri la cui radice è situata nella sfera dell’inconscio e del subconscio. Ne deriva la necessità di portare le persone a una maggiore consapevolezza e conosce di sé e degli altri. Il trattamento psicologico si propone di aiutare a mettere in luce i complessi, le frustrazioni, le contraddizioni, le aggressività, in breve: le ferite e i grovigli inestricabili in cui si dibattono le singole persone e le collettività. Ma tutti ormai dobbiamo onestamente ammettere che la radice del male di cui soffre l’umanità è ancor più profonda e richiede un intervento sanatorio che va oltre le possibilità terapeutiche messe a disposizione dalla scienza.

Chi, misteriosamente toccato da Dio, intraprende il cammino della sequela Christi nella vita consacrata porta con sé tutto il peso della propria umanità non meno ferita di quanto lo è negli altri. Egli, proprio per questo, si accinge ad un umile itinerario di conversione. Il monaco sa di essere “malato”, e poiché vuole guarire, si sottomette alla terapia di Colui che è medico e medicina: Gesù Cristo. Essendo la comunità monastica una porzione del popolo di Dio convocato per vivere in modo permanente ed esemplare la chiamata di tutta la Chiesa a partecipare al mistero della divina koinonia – al mistero della SS. Trinità – è legittimo pensare di poter contare su particolari ed adeguati doni di grazia per realizzarla. Al di là dei meccanismi psicologici, nella vita della comunità è in atto il dinamismo dello Spirito Santo che – senza prescindere dalla sfera naturale – instaura una nuova legge per regolare le relazioni interpersonali.

E’ la legge suprema dell’amore oblativo, proprio come si è rivelato nel Signore Gesù Cristo, “pieno di grazia e di verità… dalla cui pienezza noi tutti abbiamo ricevuto e grazia su grazia” (Gv 1,14.16).

Siamo convocati non solo per vivere gli uni accanto agli altri, ma gli uni “per” gli altri, gli uni negli altri, in Lui che ci fa “uno”. La comunione si realizza nel dono totale di sé a Dio in Cristo, per i fratelli. L’ostacolo più grande alla vita vera di comunione è dunque la ricerca egoistica ed edonistica di sé; l’idolatria della persona assolutizzata nella sua autonomia, che diventa inevitabilmente – in rapporto agli altri – sopraffazione.

Fino a quando non si arriva ad una sincera tensione verso l’amore oblativo – che è l’unico vero amore – non si è maturi per fare vita di comunione. Ma come poter maturare se non c’è già un ambito comunitario formativo? Per acquisire il sensus ecclesiae ci deve essere la Chiesa in concreto.

 

Tratto da “La vita di comunione” di suor Anna Maria canopi, osb