I due aspetti da considerare nella vicenda Musk-Twitter

Sembra che il clamore per l’offerta di acquisto di Twitter da parte di Elon Musk si sia acquietato e, a “mente fredda”, credo sia interessante fare qualche ragionamento su questa operazione.

Dell’offerente, Musk, si è detto e scritto tanto, in questi anni, sia per la sua personalità istrionica sia per la sua avventura imprenditoriale, da X.com a Tesla, a SpaceX, Neuralink e the Boring Company, che lo hanno portato a contendere a Jeff Bezos, il patron di Amazon, il titolo di uomo più ricco del mondo ma questa sua nuova “avventura” merita qualche considerazione in più. A riguardo, infatti, occorre considerare due aspetti: quello economico-finanziario e quello relativo alle intenzioni che, almeno a livello di dichiarazione, sono alla base di questa acquisizione.

Sotto il primo aspetto, in verità, qualche serio dubbio sull’opportunità di un affare simile sorgerebbe in chiunque abbia un minimo di raziocinio. Come è possibile che un’azienda che fatturi al massimo 5 miliardi di dollari, perdendone nell’ultimo anno 221 milioni, possa capitalizzare 38 miliardi e ricevere un’offerta di acquisto per 44 miliardi?

In effetti a Elon Musk non sono mai piaciute le aziende in bonis, basti pensare a Tesla che nei suoi diciotto anni di vita ha chiuso solo due esercizi in utile e ha il break-even ancora lontano anni luce nonostante capitalizzi più di tutte le principali concorrenti del settore automotive messe insieme ma Twitter è tutt’altro paio di maniche.

Mentre Tesla è un’entità ibrida tra un’azienda produttrice di macchine e una operante nel settore ad alta tecnologia, sia per il comparto energetico sia per quello IT, Twitter, come social network, rientra completamente nel settore delle aziende tecnologiche e di informazione, campo in cui si è ritagliato, nel tempo, uno spazio molto importante come “opinion maker” in quanto canale preferito da politici, giornalisti, attori e altri che, utilizzando un termine diffuso e usato spesso a sproposito, possono definirsi “influencer”. Ecco che, improvvisamente, quello che a livello finanziario poteva sembrare un investimento assai azzardato comincia a dipingersi in un’altra veste, come una mossa molto più motivata e interessante.

Qui entriamo nel perimetro di analisi del secondo aspetto indicato sopra, quello forse più interessante, cioè le reali motivazioni che abbiano portato a questa scalata di Twitter.

È evidente, comunque, che le righe che seguiranno possano rientrare nel campo della mera speculazione intellettuale poiché nessuno può accedere alla mente di Musk, anche perché si tratta di un’operazione a carattere personale e che non riguarda alcuna delle sue società (a parte i 12mld in titoli Tesla messi a garanzia di parte del finanziamento richiesto per il takeover), né accedere alla documentazione che potrebbe essere stata alla base della decisione di scalare uno dei simboli dell’universo dei social media.

Quando a marzo fu acquistato il 9,2% del capitale dell’azienda già in molti si immaginavano una futura OPA, cosa che si materializzò nei primi giorni di aprile con la prima offerta per l’acquisizione non di una mera partecipazione qualificata al capitale né di un a quota di maggioranza relativa ma per la completa acquisizione della società e il successivo delisting. Ma perché questo? L’obiettivo dichiarato è quello di rendere la piattaforma una vera agorà, un tempio del libero pensiero e della libertà di espressione.

Non è un mistero per nessuno, infatti, che Twitter sia sitato il primo social network a introdurre dei forti elementi di censura, ben più di Facebook, arrivando a cancellare di punto in bianco interi profili e a bandire i proprietari come accadde, ad esempio, a Donald Trump dopo l’assalto di Capitol Hill a seguito della contestata vittoria democratica alle ultime elezioni presidenziali in USA.

Molto indicativa, in tal senso, una tripletta di tweet che Musk stesso ha pubblicato tempo fa. Il primo il 25 aprile “I hope that even my worst critics remain on Twitter, because that is what free speech means”. Gli altri due sono del 27 aprile, uno che riporta la tabella dei social più scaricati da App Store con il commento “Truth Social is currently beating Twitter & TikTok on Apple Store” e l’altro in diretta risposta che dice “Truth Social (terrible name) exists because Twitter censured free speech”.

Probabilmente, a questo punto, qualcuno si chiederà cosa sia Truth Social… bene, è una piattaforma fatta realizzare da Donald Trump dopo essere stato “bannato” dai principali social network, Twitter e Facebook.

Quello che Musk dichiara come obiettivo, quindi, è riportare la libertà di parola su Twitter rendendola quasi assoluta; “quasi” perché, nonostante tutto, le legislazioni nazionali, quella statunitense in primis, prevedono delle ovvie limitazioni e responsabilità verso sia gli autori dei contenuti pubblicati sia verso le piattaforme che ne permettano la diffusione.

Lo stesso Elon Musk, ad esempio, è soggetto a delle limitazioni e a un controllo preventivo dei suoi tweet come dispose la SEC, tempo fa, quando con un’uscita improvvisa questi aveva ipotizzato un buy back sulle azioni Tesla volto al delisting dell’azienda, cosa che fece impennare la quotazione delle azioni, tra l’altro già in evidente bolla se valutate sotto qualsiasi aspetto, finanziario o prospettico che sia.

A seguito di questa offerta di acquisto, poi accettata dal board di Twitter, si sono verificate diverse reazioni scomposte da una certa area politica, quella definita in USA liberal ma che, in Europa e in Italia in particolare, può essere ascritta a una certa zona del centro-sinistra.

La cosa è singolare e assolutamente intrigante perché per molto tempo gli imprenditori come Musk sono stati visti come integrati in quell’area politica e, spesso, portatori di interessi biunivoci, soprattutto in paesi, come gli Stati Uniti, dove il lobbying è una pratica lecita, regolata e indispensabile per la politica.

Musk, infatti, ha recentemente pubblicato una vignetta dove mostra come sia mutato il clima intorno alla sua figura che, politicamente, non si è mai mossa (lo potremmo definire un “blue dog”, usando le terminologie di oltre oceano, cioè un centrista) mentre negli ultimi 15 anni l’area liberal si è spostata sempre più a sinistra facendolo apparire un conservatore e da qui gli annunci di un possibile abbandono della piattaforma da parte di un folto nucleo di personaggio, giornalisti, scrittori e altri. Ma cos’è che spaventa veramente questa gente?

Pare che sia la possibilità che Twitter diventi una versione informatica dello Speaker’s Corner di Hyde Park, un luogo dove chiunque possa “salire sul palco” ed esprimere le proprie opinioni in totale libertà che abbia provocato una sorta di cortocircuito in questi alfieri dei diritti di tutti, tranne che di esprimere un’opinione diversa dalla loro.

La tendenza degli ultimi anni, nella moderazione delle bacheche dei social si è rivolta verso una sorta di “inclusività esclusiva” cioè verso la ricerca di una espressività che, a parole, non doveva discriminare nessuno ma che, nei fatti, ha portato all’emarginazione di pensieri e parole solo perché giudicate inopportune o, addirittura, “razziste” quasi delineando le basi per una orwelliana neolingua da applicarsi per evitare di subire restrizioni a ban dalle piattaforme.

La trasformazione che Musk vorrebbe dare a Twitter non sarebbe radicale, in senso stretto, volendo tornale alle origino del sito ma sarebbe sicuramente rivoluzionaria rispetto a come sia stato gestito negli ultimi anni. Citando Elio e le Storie Tese, però, tra il dire e il fare c’è di mezzo “e il”. Cosa significa questo? Vuol dire che un conto sono le intenzioni e un altro la reale messa a terra del progetto.

Già si diceva che la libertà completa di parola non può essere garantita perché ci sono delle limitazioni per legge, dall’insider trading alle minacce e all’incitazione alla violenza giusto per fare degli ovvi esempi, ma occorrerà pensare anche a come finanziare il tutto.

Finora Twitter si è retto, non molto bene in verità, sulla pubblicità ma se perdesse parte degli utenti più seguiti come già minacciato? Se gli inserzionisti diminuissero, di conseguenza, il loro impegno? Come fare a garantire l’indipendenza del canale? Lo si rende a pagamento, magari con un profilo premium? Queste sono le domande a cui avremo una risposta non domani ma fra qualche mese ma che sono, alla fine, quelle fondanti nel valutare tutto questo.