Dopo Gryphon e Kraken arriva Arthur: come agisce la nuova variante

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È di questi giorni la segnalazione di una nuova variante chiamata “Arthur” (XBB.1.16), che determina un aumento dei contagi senza però, al momento, causare un significativo incremento di ospedalizzazioni e forme gravi. Anche se è prematuro trarre conclusioni, si tratta dell’ennesima variante in ricombinazione che rientra nello sciame di Omicron che non dovrebbe, come avvenuto nelle precedenti, avere un impatto epidemiologico particolarmente negativo. Uno studio clinico randomizzato di fase 3 (ESCAPE)), ha paragonato il trattamento con un inibitore dell’interleuchina 6 (sarilumab) in associazione alla terapia standard al solo trattamento standard in pazienti con COVID-19 grave. Lo studio è stato condotto tra il maggio 2020 ed il maggio 2021 in cinque ospedali italiani ed ha coinvolto 191 pazienti affetti da polmonite grave, che non richiedevano la ventilazione meccanica. Dai risultati è emerso che il sarilumab non presentava particolari vantaggi nel trattamento del COVID-19 grave, sia nella popolazione generale sia in quella stratificata secondo gravità.

Il problema dell’impiego del sarilumab nel COVID-19 resta però aperto e per questo viene suggerita l’esecuzione di altri studi a maggiore numerosità in modo da disporre di risultati più conclusivi. Continua, come del resto era ampiamente atteso, la riduzione dei contagi, dei ricoveri e dei decessi per COIVD-19 in Italia, così come risulta dai bollettini settimanali emessi dall’Istituto Superiore di Sanità. Tutti i numeri hanno il segno meno davanti ed è particolarmente significativo che nell’ultimo periodo i ricoveri di pazienti in terapia intensiva siano stati in numero esiguo. Questa situazione epidemiologica particolarmente favorevole dal punto di vista epidemiologico, dovrebbe rimanere immodificata anche nei prossimi mesi, come espressione del fatto che il virus presente in forma endemica nella popolazione, determina un numero contenuto di casi, alcuni dei quali anche gravi, senza però causare le ondate osservate in passato.

Nel 2022 COVID-19 è stata la terza causa di morte negli Stati Uniti e per questo motivo uno studio ha valutato quanto l’approvazione da parte della Food and Drug Administration (FDA) del farmaco antivirale paxlovid possa avere un impatto sui ricoveri e sulla mortalità da COVID-19. In base a questa analisi, l’impiego del paxlovid ha una grande efficacia se impiegato all’80%, intermedia se al 40%, basso se al 5%. Si è quindi stimato che sarebbero necessari da 0,4 a 39,8 milioni di cicli di paxlovid per affrontare efficacemente una futura ondata simile a quella dovuta ad Omicron. Gli stessi autori del lavoro sottolineano però una serie di criticità legate all’impiego del paxlovid che potrebbe, in un panorama sanitario in rapida evoluzione, modificare questa modellistica.  Un rapporto della National Accademy of Science, Engineering and Medicine affronta gli effetti a lungo termine del COVID-19 sui bambini e le famiglie. Questi effetti non sono solo di tipo sanitario, ma riguardano anche la salute ed il benessere dei bambini, con importanti risvolti di tipo sociale, psicologico ed economico. Vengono in particolare formulate una serie di raccomandazioni che tracciano una sorta di tabella di marcia per fornire gli aiuti essenziali ai bambini ed alle famiglie con l’intento di fornire, nel tempo più breve possibile, gli strumenti per riprendersi dagli effetti della pandemia e correggere le diseguaglianze causate da queste.

A questo proposito, sono stati identificati i seguenti punti: dare priorità degli aiuti a bambini ed alle famiglie; affrontare i bisogni sociali, emotivi ed educativi; sostenere i bisogni di salute fisica e mentale; rispondere alle esigenze economiche e, da ultimo, supportare future richieste di ricerca e di acquisizione dati per contrastare nuove possibili pandemie. Uno studio ha valutato 3 diverse coorti a livello nazionale che hanno coinvolto più di 13.000 partecipanti di sesso femminile. I risultati di questo studio indicano che la violenza domestica nel primo anno e mezzo di pandemia, si è correlata ad effetti deleteri per la salute e si è associata a disturbi della salute mentale, ad una peggiore qualità del sonno ed un maggior uso di alcol ed altre sostanze. È importante notare che elementi di screening potrebbero essere migliorativi per prevenire gravi conseguenze a lungo termine sulla salute delle donne.

Uno studio multicentrico condotto tra il maggio e giugno 2022 nella Svizzera nord-orientale in operatori sanitari, ha valutato le sequele post- acuzie dopo infezione da SARS-CoV-2, a seconda della variante virale e della presenza o meno della vaccinazione. Dai risultati è emerso che una precedente infezione con varianti pre-Omicron era il più forte fattore di rischio per l’insorgenza di sintomi post-infezione. La vaccinazione, prima dell’infezione da Omicron BA.1, non si associava ad un chiaro effetto protettivo nei confronti delle sequele in questa particolare popolazione.  Le infezioni batteriche sono una frequente complicanza che avviene nelle persone che usano droghe per via iniettiva. Per valutare l’impatto di COVID-19 e di eventuali variazioni stagionali su questa patologia, sono stati studiati i ricoveri ospedalieri in Inghilterra tra il gennaio 2002 e dicembre 2021. In questo lungo lasso di tempo di circa vent’anni, l’incidenza di infezioni dovuta all’iniezione di oppioidi è stata variabile riducendosi a seguito dell’introduzione delle misure di prevenzione anti COVID-19. Da qui emerge che i fattori sociali e strutturali come: difficoltà alloggiative e promiscuità, possono contribuire al rischio di infezione e, per questo motivo, sarebbe importante operare un investimento migliorativo delle condizioni sociali in questa popolazione, come mezzo anche per ridurre il peso delle infezioni correlate alle iniezioni di oppioidi.  Uno studio ancora non pubblicato, ma presente sulle piattaforme ha indicato che sia la 4° dose di vaccino monovalente e che la 5° dose di vaccino COVID-19 bivalente (BA.1/virus ancestrale), forniscono un uguale beneficio se somministrati per richiamo degli anziani, dal momento che  conferiscono un’equivalente protezione nei confronti dell’ospedalizzazione. La conclusione a cui giunge questo studio è che nelle persone fragili è al momento consigliabile l’uso di una dose di richiamo di vaccino bivalente per fornire una buona protezione nei confronti della malattia grave.