Diseducando si “impara”

sabatiniIl sedicenne morto in discoteca a Riccione per una forte dose di ecstasy, il diciassettenne pesarese praticamente decapitato per gelosia e la fidanzatina dell’omicida peraltro movente dell’efferato omicidio che idealizza e giustifica il gesto violento dell’assassino, la quattordicenne molisana che per una straordinaria e complessa sofferenza interiore ha perso la vita lasciandosi cadere dal quarto piano di una palazzina dove stava trascorrendo le vacanze con la famiglia adottiva.

Sono solo quelli delle ultimissime ore gli episodi di grande violenza che seppure profondamente diversi tra loro testimoniano però con la stessa significatività l’identico messaggio di un mondo giovanile in difficoltà, che chiama in causa il ruolo educativo delle agenzie impegnate in questo ruolo e tra queste principalmente la scuola e la famiglia.

Scuola e famiglia che devono indifferibilmente recuperare un patto di collaborazione che non veda l’una subalterna all’altra, ma che sia capace di attribuire entrambe ad un contesto di reciprocità nel comune e oggi più che mai difficile compito di educare le nuove generazioni.

Educare, perché il tema a cui gli episodi di cronaca riportati chiamano è proprio questo. La necessità che prima fra tutte la scuola recuperi in modo rinnovato quella dimensione educativa a cui ha troppo spesso rinunciato in nome di un laicismo illuministico di vecchio stampo e nascondendosi dietro un manifesto delle “competenze”.

Bisogna invece recuperare consapevolezza che la scuola oltre ad essere luogo di istruzione è soprattutto il principale luogo di vita dei nostri ragazzi che oggi più che mai nella loro grande fragilità -derivante molto spesso da una altrettanta fragilità sempre più diffusa della famiglia- chiedono anche con gesti a volte contrastanti di essere ascoltati, letti, interpretati, capiti, sostenuti, guidati e quindi educati.

La scuola per il ruolo importante che ha non può occuparsi solo di istruzione ma deve ripensare completamente il suo progetto in una nuova prospettiva educativa intendendo come suo interlocutore la formazione della persona umana nella sua dimensione integrale e non solo cognitiva. I nostri studenti hanno un forte bisogno di essere aiutati a svilupparsi pienamente prima di tutto come persone.

Di certo gli episodi narrati, insieme ad altri purtroppo altrettanto gravi e anche numerosi, non possono essere esclusivamente ricondotti all’inefficacia della scuola così come alla inadeguatezza a volte di realtà genitoriali che –come ha di recente stigmatizzato anche Papa Francesco- giustificano i propri figli di fronte ad ogni azione senza condividere con loro il minimo principio di “responsabilità” dei propri gesti. Di fronte a situazioni limite è sempre difficile individuare responsabilità precise così come “titolarità” esclusive e farlo sarebbe anche semplicistico soprattutto in una società complessa come la nostra in cui i giovani, in particolare, vivono immersi nel mondo dei social e dei media.

Ciò premesso non possiamo però pensare, allo stesso tempo, di non prendere in carico la gravità dei fatti e in dovuta considerazione il ruolo forte che potrebbe e dovrebbe avere di fronte ad uno scenario simile in particolare un’istituzione come la scuola che invece troppo spesso in virtù di un fantomatico elogio della tolleranza e della laicità ha ormai rinunciato a un compito che non può non esserle proprio quale quello dell’educare. Dimenticando peraltro che così come anche stando in silenzio si comunica, allo stesso modo non educando si diseduca la nostra società, il nostro Paese che ha peraltro dei forti valori di riferimento univocamente riconosciuti, e che non possono essere confusi pena la tenuta stessa della nazione, non può permettersi questa rinuncia.

Educare vuol dire dare ai nostri ragazzi quell’universo valoriale di riferimento che sono loro stessi a chiederci e in assenza dei quali il loro disorientamento lievita a dismisura portandoli a volte di fronte all’impensabile dei fatti di cui sopra. Se si vogliono salvare le vite stesse dei nostri giovani la scuola, prima fra tutte le agenzie educative, sostenendo anche la famiglia nel suo difficile compito nella varietà e diversità delle figure genitoriali ormai coinvolte, non può e non deve avere paura di proiettare gli studenti in una forte dimensione di valori che siano quelli universali della Persona umana praticati in una essenziale e fondamentale dimensione relazionalità; quella che proprio la scuola può con grande unicità e specificità offrire tra i ragazzi stessi e tra questi e gli adulti di riferimento.