Dignità: quella parola costantemente ripetuta e ricordata da Mattarella

Il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella davanti al Parlamento in seduta comune per la cerimonia di giuramento (foto di Francesco Ammendola - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

Bene, ora inizia il difficile. Sergio Mattarella ha giurato, si è reinsediato al Quirinale e chi dice che ci resterà meno di sette anni o è uno sfrontato, o è uno che azzarda. Il mandato è pieno, il lavoro è tanto e non a caso il Presidente, pronunciando il discorso di insediamento, ha sorriso ben poco. Meno di quanto non ci avrebbe potuto aspettare da parte di chi, in fondo, ha avuto una gran bella soddisfazione dalla vita tra applausi alla Scala e ole a Sanremo.

Ma il fatto è che lui, Mattarella, per primo sa che ora inizia il difficile: aprire cioè una fase di riforme e di creazione di una nuova finestra di opportunità per una Repubblica vissuta per decenni ignorando il primo dovere della buona politica, quello di pensare alle generazioni successive. Così facendo, questa Repubblica ridanciana ed edonista ha finito per negare loro il presente e il futuro. Tutto, a guardar bene, in questa nostra Italia si è consumato nel passato, vissuto come un eterno presente in cui i like contano più dei voti e l’effimero ben più del progetto.

Per questo tutta la seconda parte del suo intervento di fronte alle Camere ha avuto una parola ricordata costantemente e costantemente ripetuta: dignità. Dignità, ha detto, è lavorare in condizioni di sicurezza, soprattutto se si hanno diciott’anni e si è in fabbrica per fare l’alternanza scuola-lavoro. Dignità è non dover scegliere tra maternità e lavoro. Dignità è non essere lasciato affogare in mare, è non essere insultato per la strada per motivi religiosi o razziali, è non vedersi decurtata la busta paga perché si è donna.

Ma per fare questo il motore della democrazia va rimesso in moto. È stato, quello del Capo dello Stato, un ragionamento sulla centralità del Parlamento quale non lo si ascoltava dai tempi di Oscar Luigi Scalfaro. Le Camere sono state indicate come l’hub delle decisioni da prendere, il luogo in cui va trovata la sintesi tra la rapidità nell’adottare le misure – come pretendono tempi sempre più incalzanti – e il necessario approfondimento dei temi. Il Parlamento, ha aggiunto ancora Mattarella, è il punto in cui la società civile si fa voce di fronte alla politica.

Ne incorre l’obbligo di restituire alle Camere, che proprio con l’elezione della scorsa settimana si sono riprese la loro centralità rispetto a leader di partito bizzosi e con le idee poco chiare, la loro dignità. Sì: la dignità. Di qui l’avvertimento nemmeno troppo celato al governo, cui verrà garantita la necessaria copertura, a non abusare della decretazione d’urgenza, come anche a non spedire più la finanziaria alle Camere con due giorni soli di tempo per la discussione. Mario Draghi, sei e resti l’uomo giusto al posto giusto ma attenzione: sei un uomo, non un deus ex machina. Rammentalo e verrai ricordato per quello che vali, altrimenti farai il gioco di chi ti vuol sbalzare di sella.
In controluce, seguendo il ragionamento, pare anche di poter cogliere un esplicito invito a varare una nuova legge elettorale, quando si riconosce l’importanza della forma partito ma contemporaneamente si chiede che il Parlamento riacquisti la sua rappresentatività nella società civile.

Perché è vero, ricostruire è il dovere di ognuno, dopo il dramma della pandemia di Covid (a proposito: “Non ci possiamo permettere distrazioni”, mica è passata). Ma è pur vero che il Covid ha, spesso, messo in evidenza problemi che già esistevano ed erano stati ignorati. Per questo Mattarella sorride poco, il difficile viene ora: non ci sono più scusanti, se si fallisce le conseguenze potrebbero essere devastanti. Non è un caso che il Presidente abbia citato le autocrazie alle porte e la crisi del sistema democratico. Inoltre diciamolo pure: pretendere dignità non è una cosa che si possa fare sorridendo. E noi, in questo Paese, per troppi anni ci siamo concessi un lusso molto pericoloso: accettare una politica ridanciana.