Delitti d’estate: l’orrore dell’indifferenza

La cronaca degli ultimi giorni assomiglia a un bollettino di guerra. A Bitonto un ragazzo di 25 anni è stato accoltellato a morte per un diverbio stradale. Dopo il pestaggio mortale di Lloret de Mar, in cui ha perso la vita Niccolò Ciatti, in una discoteca di Jesolo si è verificata un’altra rissa che solo per miracolo non è finita in tragedia per un ventiquattrenne veneto. A Roma l’orrore della donna strangolata e fatta letteralmente a pezzi dal fratello. Senza dimenticare i drammi familiari sfociati in omicidi come ad Alessandria, dove una donna ha ucciso il marito, o in omicidio-suicidio come a Dogoletto di Mira, dove è stato un poliziotto ad assassinare la moglie prima di suicidarsi. E l’elenco potrebbe anche allungarsi.

Ferocia senza limiti

Cosa accomuna tutte queste “storiacce”? Da un lato la ferocia, dall’altro la scarsa o nulla considerazione della vita umana. Due facce della stessa medaglia. E questo spinge inevitabilmente a una riflessione, lontana da ogni retorica e moralismo da quattro soldi. L’estate, purtroppo, sembra fatta apposta per scatenare gli istinti più bassi dell’uomo. Magari per dare sfogo a rabbia repressa e frustrazioni accumulate nel tempo. Qualcuno prova anche a fornire spiegazioni scientifiche per quello che sembra un aumento dei delitti direttamente proporzionale all’aumento della temperatura (almeno in questa direzione vanno alcuni studi di ricercatori inglesi e americani). Ma la spiegazione più profonda va trovata all’interno dell’uomo.

Il valore della vita

Va ricercata nella mancanza di punti di riferimento educativi, di rispetto dell’altro, di autocontrollo. E non si tratta semplicemente di dominare l’ira che può accecare chiunque. Si tratta di riconoscere il valore enorme che ogni uomo e ogni donna portano in sé. Le immagini del pestaggio di Ciatti, con tutta la loro carica di violenza, lasciano basiti per l’indifferenza complice di chi ha assistito senza nemmeno provare a intervenire per difendere un ragazzo preso a calci in testa. Significa anestetizzare la coscienza. A Roma Diotallevi ha confessato di pensare all’omicidio della sorella da due mesi ma di aver agito in preda a un raptus. Ma tagliare in due un cadavere è un raptus? Purtroppo, la tragica realtà è che ormai la vita dell’altro non conta più nulla. Conta solo il tornaconto personale, l’ego esaltato all’inverosimile. E “chisseneimporta” se questo significa umiliare una persona, oltraggiarla, addirittura passare sul suo cadavere.

Deriva pericolosa

C’è bisogno di fermarsi un attimo, di pensare a dove stiamo andando, che mondo stiamo consegnando ai nostri figli. Quali princìpi gli stiamo trasmettendo. Occorre aprire gli occhi e interrompere questa pericolosa deriva, riscoprendo valori che prima di essere cristiani sono semplicemente umani. Altrimenti rischia di impallidire anche il plautino ”homo homini lupus”. E l’unico luogo da cui è possibile ripartire è la famiglia, dove ognuno è amato per quello che è, dove si impara ad andare oltre il proprio egoismo. Nel suo discorso in cui proponeva le famose parole “permesso, grazie, scusa”, Papa Francesco ricordava che “certe volte viene da pensare che stiamo diventando una civiltà delle cattive maniere e delle cattive parole, come se fossero un segno di emancipazione. Le sentiamo dire tante volte anche pubblicamente. La gentilezza e la capacità di ringraziare vengono viste come un segno di debolezza, a volte suscitano addirittura diffidenza. Questa tendenza va contrastata nel grembo stesso della famiglia. Dobbiamo diventare intransigenti sull’educazione alla gratitudine, alla riconoscenza: la dignità della persona e la giustizia sociale passano entrambe da qui. Se la vita familiare trascura questo stile, anche la vita sociale lo perderà”.

Un monito terribilmente attuale: non possiamo e non vogliamo abituarci all’orrore della vita calpestata.