Dad o lezioni in presenza? Ecco cosa succede al nostro cervello

L’immagine che ho spesso davanti ai miei occhi, in questo tempo, è quella degli studenti scesi in piazza per chiedere di rientrare a scuola: chapeau a coloro che hanno fatto questa scelta! I ragazzi ci parlano in continuazione ma noi non rispondiamo o lo facciamo con il silenzio, a volte assordante. Non è questa la buona scuola. Affatto. Intendiamoci. Non penso che le soluzioni siano facili ma la situazione di questi ultimi mesi ha generato reazioni di ogni tipo in tutti coloro che sono coinvolti nella scuola (docenti, studenti, personale ATA, ecc.).

La didattica a distanza (DAD) ha causato molti disagi psicologici. La tendenza all’isolamento è evidente se si guarda all’aumento dei casi in cui l’adolescente compie un vero atto di ritiro sociale e si rifiuta di uscire e incontrare gli amici. Tale fenomeno è purtroppo acuito dall’elevato numero di ore trascorse dinanzi alla tecnologia. Al cospetto delle difficoltà, l’adolescente preferisce chiudersi nella propria individualità piuttosto che uscire nel mondo reale e accettare le sfide della vita quotidiana. È la cosiddetta “Sindrome della Capanna”, ovvero uno stato di smarrimento che implica la voglia di continuare a rimanere al sicuro nel proprio rifugio.

Sappiamo tutti che c’è stato un momento in cui si è reso necessario scegliere la DAD anziché la didattica in presenza. In tal modo, si è evitato un aumento di contagi. Ma non può più accadere qualcosa di simile. Ci serva da lezione. La scuola di persona è un grande allenamento sensoriale, fondamentale. I ragazzi hanno bisogno di relazioni sociali, di essere lodati, rimproverati. Hanno bisogno di vedere figure, testimoni. Necessitano del modellamento attraverso lo sguardo de visu e l’incontro a tu per tu.

All’interno del nostro cervello ci sono dei particolari neuroni, cosiddetti neuroni specchio, che si attivano sia quando facciamo un’azione, sia quando vediamo le altre persone compiere un’azione. Tali neuroni sono fondamentali per generare il senso di empatia, che è essenziale per qualunque relazione e in particolare nel mondo della didattica.

Le lezioni devono creare un legame e lasciarne traccia. La didattica a distanza lascia perplessi, “assenti”, distanti. Eppure, ci sono docenti che ottengono risultati straordinari, grazie anche alle loro capacità telematiche ma non basta, non va bene così.

Anche la memoria autobiografica è a rischio. La DAD contribuisce a mettere in discussione i neuroni gps, che, oltre ad essere molto importanti per l’orientamento visuo-spaziale, sono imprescindibili in riferimento alla memoria autobiografica, per l’appunto. Tutti noi ricordiamo i luoghi e gli eventi che sono all’interno della nostra memoria. Nella DAD i neuroni gps non vengono attivati e quanto vissuto all’interno del cervello viene più facilmente dimenticato perché non si fissa nella memoria autobiografica. Se si unisce tale aspetto a quello legato ai disturbi della comunicazione in termini di assimilazione (si ricorda spesso più ciò che si condivide e piace piuttosto che il resto), il rischio, a fine lezione, è di dimenticare in fretta gran parte di quanto viene ascoltato a lezione.

Ascoltato, non visto. Molti problemi familiari impediscono, infatti, ai ragazzi di attivare la video-camera, ragion per cui si va avanti in modalità/radio. Anche questo non va bene. In tali situazioni, anche i genitori vivono, accanto ai loro figli, situazioni di estremo disagio, complicando ancor più e in modo pesante problematiche concrete ed esistenziali in alcuni casi pre-esistenti, in altri conseguenti al Covid-19.

Ammiro l’attuale classe di docenti che è indubbiamente da ascrivere a quella di “eroi di questo tempo di scuola” perché in maniera creativa e con grande abnegazione sta impiegando tutte le energie possibili per “normalizzare” al massimo ciò che normalizzabile non è.

In questi giorni di DAD al 50% e didattica in presenza l 50% vedo docenti uscire ed entrare in aule vuote dianzi ad un pc ed in aule “piene” dinanzi ai ragazzi. Sembrano “schegge impazzite” vogliose di farcela. Uno di loro, qualche giorno fa mi ha detto: “Mi sento scisso collega, è normale?”. Come dargli torto… Cambiare aula nel modo suddetto significa cambiare completamente modalità, il tutto condito dall’immancabile mole burocratica che la scuola delle carte richiede.

Dalla scuola delle carte dovremmo ritornare alla scuola dei volti. Mi piacerebbe che valorizzassimo il nostro tempo nel tentativo di trovare strategie valide per vivere lezioni migliori che favoriscano l’incontro vero con persone e contenuti. Magari compileremo un registro in meno, ma forse avremo potuto “salvare” un ragazzo in più.

In sintesi, la DAD è stata preziosa perché ha evitato il “nulla” che sarebbe stato ancora peggio ma è un’esperienza che deve far ripensare i trasporti in modo tale che ai ragazzi non vengano più negate presenza e vicinanza.

I giovani sono stufi e vogliono tornare a scuola perché sono annoiati da questa tecnologia senza sapore, da questa multimedialità senza incontro. Come già detto, i ragazzi in piazza per manifestare a favore di un ritorno a scuola ne sono una dimostrazione.

Per non parlare dei docenti. Come si fa a non porli tra i primi a dover ricevere il vaccino? Ogni giorno, senza mai attivare qualche polemica ufficiale, entrano in istituti che sono vere zone a rischio. Lo fanno per passione, per necessità di lavoro, ma lo fanno. Nel mio piccolo, dalle pagine di questo importante quotidiano, denuncio una richiesta che dovrebbe essere implicita. Per il bene di tutti, vacciniamo i docenti al più presto.

Ai miei colleghi docenti e, con loro, a me stesso dico: non mollate/non molliamo. Proprio ora no. La nostra professione ha una sacralità che ha bisogno di un rinnovo di entusiasmo. Quando entriamo in aula, che sia a distanza o in presenza, lo studente deve sentire che amiamo farlo. La caratteristica che ci differenzia da sempre dalle macchine è la nostra anima. Le nostre lezioni siano di nutrimento per la crescita dei ragazzi. Tese ovviamente a formare l’individuo adulto, devono anche essere sostenute dalla volontà e dalla capacità di noi docenti di favorire negli studenti la libera espressione del “fanciullino” che hanno dentro di sé e del bambino libero “berniano”.

Abbiamo dinanzi a noi le future generazioni. Abbiamo un’importante responsabilità che non diventa peso se ci ricordiamo che le nostre parole possono e devono essere pregne di autorevolezza, serenità, condivisione e risolutezza. Con chiarezza di direzione, ogni studente troverà in noi credibili ed essenziali punti di riferimento.

In tal modo contribuiremo a far sì che gli studenti sentano la scuola più umana e più vicina al loro mondo. In tal modo, ogni distanza verrà accorciata e si farà… presenza!