Da Silvio a Matteo, i signori delle tv

Ma con le televisioni si vincono o si perdono le elezioni? E il ventennio berlusconiano è stato il frutto amaro della dittatura dell’etere, oppure è stato solo il portato della Storia, nel senso che Silvio Berlusconi si è trovato al posto giusto nel momento giusto? Proviamo ad aggredire la questione dalla coda, anziché dalla testa. Per quanto potrà sembrare paradossale, Renzi non è speculare al Cavaliere solo perché è come lui dal punto di vista politico. L’attuale presidente del Consiglio è assimilabile al sire di Arcore per un’altra ragione: Matteo, come Silvio, si è fatto trovare all’appuntamento con la Storia perfettamente in orario e con il biglietto già pagato.

E, come Berlusconi, anche il premier attuale ha aggredito subito il presente, con quel vigore necessario che serve a stringere un patto con il futuro. Modesto dettaglio: il Cav è stato costretto a viaggiare con accompagnatori male assortiti e poco inclini alla totale condivisione della meta. Renzi non solo è da solo ma è anche il conduttore del treno sul quale è salito un anno fa. Ecco, questo forse è il punto vero della storia parallela fra i due. E le televisioni che ruolo hanno avuto? E oggi come valutarle? Diciamo che sono sempre state, e lo saranno ancora, l’arma di distrazione di massa, con le quali si orienta una parte dell’elettorato, ma non lo porta al seggio. Perché altrimenti non si spiegherebbe come mai il partito del non voto continua a crescere.

Chi ha accusato per quasi vent’anni Berlusconi di aver dominato l’Italia solo perché controllava tutte le televisioni, oggi dovrebbe ammettere, anche solo per onestà intellettuale, che strillava alla luna non avendo altri argomenti veri da proporre agli elettori. Il Cavaliere, sia che fosse al governo o all’opposizione, ha usato il tubo catodico per le campagne elettorali, per completare l’ultimo miglio a colpi di spot e slogan. Matteo Renzi sta facendo di meglio. L’attuale capo del governo sta usando la televisione come se fosse una sua personale newsletter. Sceglie da chi andare, quando andarci e, soprattutto, come apparire in video. Diciamo la verità, ormai siamo oltre.

E proprio per questa ragione risulta del tutto evidente come il dibattito su Berlusconi e sulla presunta videocracy fosse del tutto strumentale. Perché il nodo non è se con le tv si vincano o si perdano le elezioni, ma come si governa un Paese con le antenne. Al netto di questo ragionamento il caso di Rai way rischia di apparire solo un effetto collaterale del renzismo imperante e del berlusconismo calante. In realtà la vendita delle torri della Rai e l’offerta d’acquisto da parte di Mediaset sono due facce della stessa medaglia. Tanto il premier quanto il Cavaliere sanno perfettamente che la battaglia finale si gioca sul controllo dell’etere e nessuno dei due vuol concedere all’avversario un punto di vantaggio. Solo un pareggio può far abbassare il livello dei decibel. Risultato che porterebbe in dote alle aziende del sire di Arcore il controllo delle torri di trasmissione, mentre l’inquilino di Palazzo Chigi avrà il pieno controllo su ciò che va in onda.

Per paradossale che sia il nodo da sciogliere per opzionare il futuro non è ancora la Rete, ma la televisione intesa in senso lato. Perché qualunque sia la riforma della Rai che Renzi proporrà al consiglio dei ministri per la scontata approvazione, avrà un solo fine: rendere l’emittente di viale Mazzini sempre più aderente al concetto di Tv di Stato. Ecco, se si vuole davvero riconoscere un disvalore a Berlusconi, bisogna ammettere che gli editti bulgari e le cacciate di questo e quello sono state brutte pagine di una democrazia televisiva male interpretata. Renzi non commetterà questi errori, si limiterà semplicemente a modellare la plastilina che la Storia gli ha messo fra le mani.