Le criticità della crisi dell’alfabetizzazione

Tra i maggiori problemi legati all’infanzia c’è la possibilità o meno di frequentare una scuola. Spesso, però, “andare a scuola” non basta: uno studio realizzato dalla Banca Mondiale, UNESCO, UNICEF, Foreign Commonwealth and Development Office (FCDO) del governo britannico, USAID e Bill & Melinda Gates Foundation, ha messo in relazione gli effetti della frequentazione scolastica con l’apprendimento. In The State of Global Learning Poverty, questo il titolo del nuovo rapporto, i ricercatori non si sono limitati a valutare la frequentazione scolastica, ma l’apprendimento e le possibili cause della mancanza di conoscenze. Fenomeni come la povertà. E poi la pandemia, che ha causato la chiusura prolungata delle scuole (e ha avuto notevoli conseguenze anche sul reddito familiare). Learning-poverty-report-2022-06-21-final-V7-0-conferenceEdition.pdf (worldbank.org)

Il COVID19 ha devastato l’apprendimento in tutto il mondo, aumentando drasticamente il numero di bambini che vivono in Learning Poverty. Con 7 su 10 dei bambini di 10 anni di oggi nei paesi a basso e medio reddito che ora non sono in grado di leggere un testo semplice, i leader politici e la società devono muoversi rapidamente per recuperare il futuro di questa generazione garantendo strategie e investimenti di recupero dell’apprendimento. La Banca Mondiale è impegnata a sostenere i paesi in questi tempi difficili. Insieme, possiamo costruire un’istruzione migliore, più equa, efficace e resiliente. Lo dobbiamo non solo ai bambini e ai giovani di questa generazione, ma a noi stessi – nelle loro menti riposa il nostro futuro”, ha dichiarato Jaime Saavedra, Direttore Globale per l’Istruzione della Banca Mondiale.

A fare eco le parole di Robert Jenkins, Direttore Globale dell’Educazione dell’UNICEF: “Riportare i bambini in classe è solo il primo passo, ma se ci fermiamo qui, priveremo milioni di bambini della possibilità di raggiungere il loro pieno potenziale. Ogni bambino ha il diritto non solo di andare a scuola, ma di imparare a scuola, acquisendo le competenze di base che sono fondamentali per l’apprendimento superiore e per, un giorno, raggiungere livelli di reddito più elevati sostenendo uno sviluppo equo e una crescita sostenibile. Dobbiamo raggiungere ogni bambino, in ogni situazione. Dobbiamo valutare il loro livello di apprendimento e aiutarli a padroneggiare le basi, in modo che possano andare avanti come studenti fiduciosi. E soprattutto per i bambini che vivono attraverso conflitti e crisi, dobbiamo sostenere l’apprendimento dei bambini assicurandoci che abbiano il supporto psicosociale di cui hanno bisogno. Non possiamo permettere che l’apprendimento dei bambini diventi l’ennesima vittima della pandemia di COVID19“.

Si stima che durante la pandemia la chiusura delle scuole ha causato una interruzione dell’istruzione per oltre 1,6 miliardi di bambini in 188 paesi. A livello globale, da febbraio 2020 fino a febbraio 2022, sarebbero stati mediamente 141 i giorni di istruzione persi. Ma mentre alcuni paesi hanno riaperto le scuole rapidamente, altri hanno tenuto tutte le scuole chiuse per periodi eccezionalmente lunghi. In Asia meridionale, in America Latina e ai Caraibi, e in Medio Oriente e in Nord Africa. Altri hanno riaperto solo parzialmente. E gli effetti sono stati devastanti.

L’impatto della pandemia sulla povertà di apprendimento registrata nei paesi dell’America Latina e nei Caraibi è stato sconvolgente: le stime parlano dell’80% dei bambini incapace di comprendere un semplice testo scritto alla fine della scuola primaria. Un peggioramento rilevante rispetto al dato pre COVID (quando questa percentuale era circa il 50%). Critica la situazione anche in molti paesi dell’Asia meridionale, dove le stime parlano di un 78% di bambini che non hanno competenze minime di alfabetizzazione (rispetto al 60% pre-pandemia). Ma è nell’Africa sub-sahariana che registra i dati più preoccupanti: qui, nonostante un peggioramento minore della povertà di apprendimento rispetto al periodo precedente la pandemia (in molte regioni, la chiusura delle scuole è durata solo pochi mesi), sono state rilevate percentuali impressionanti di alunni con gravi carenze di apprendimento al termine del percorso scolastico (89%).

A destare preoccupazione il fatto che, indipendentemente dai valori estremi, in tutti i paesi esaminati le simulazioni mostrano un aumento della povertà di apprendimento. Il tasso medio globale di povertà di apprendimento, che nel periodo pre-pandemia, nel 2015, si aggirava intorno al 53%, ora è del 57%: in media, nei paesi a basso e medio reddito, tra i bambini di 10 anni, sei su dieci non sono in grado di leggere e comprendere un testo semplice.

Secondo i dati del rapporto, nonostante gli sforzi compiuti, in molte regioni del mondo la povertà di apprendimento non si è ridotta. E senza disporre di competenze di base, è quasi impossibile per i bambini acquisire le conoscenze tecniche e di ordine superiore necessarie per inserirsi nel mercato del lavoro, sempre più esigente e complesso.

Lo stato della povertà di apprendimento globale è un appello urgente all’impegno. Riprendersi da questo enorme shock richiederà a tutti noi – governi, famiglie, educatori, società civile e settore privato – di raddoppiare i nostri sforzi per garantire che ogni bambino sia sostenuto per tornare a scuola e recuperare il ritardo sull’apprendimento”, è stato il commento di LeAnna Marr, Acting Deputy Assistant Administrator, Bureau for Development, Democracy, and Innovation, Center for Education, USAID.

Nuovi impegni che potrebbero richiedere decisioni concrete tra pochi mesi. Come ha ricordato Stefania Giannini, Vice Direttore Generale UNESCO per l’Educazione: “Queste stime sono un campanello d’allarme sull’urgenza di dare priorità all’istruzione nei piani di ripresa e non solo. Dobbiamo investire in politiche olistiche e trasformative che agiscano sulle molteplici cause della crisi dell’apprendimento, mobilitino la comunità internazionale e mettano in atto tutte le condizioni per garantire che nessun bambino rimanga indietro. Il Transforming Education Pre-Summit, dal 28 al 30 giugno presso la sede dell’UNESCO a Parigi, e il Transforming Education Summit, il 19 settembre a New York, sono la nostra opportunità per impostare l’apprendimento sui binari giusti e soddisfare la promessa SDG4 di garantire un’istruzione di qualità e opportunità di apprendimento permanente per tutti”.

Corale l’appello rivolto ai governi ad agire rapidamente. Un invito che è stato accompagnato da una campagna basata sull’acronimo RAPID (rapidamente, appunto): Raggiungere ogni bambino e far sì che frequenti la scuola, consentire regolarmente Accesso ai livelli di apprendimento necessari; dare Priorità agli insegnamenti fondamenti, considerati fondamentali per l’apprendimento permanente; Incrementare l’efficienza dell’istruzione; e Sviluppare (in inglese Develop) salute e benessere psicosociale in modo che ogni bambino sia pronto per imparare.

Già prima della pandemia la crisi dell’alfabetizzazione mostrava delle criticità rilevanti. In molti paesi, le percentuali di apprendimento erano basse. La chiusura scolastica a causa del COVID19 ha solo peggiorato il problema e esacerbato le disuguaglianze. Ad essere più colpiti sono i bambini dei paesi più poveri del mondo. Come hanno sottolineato i ricercatori, ogni volta che in passato si sono verificate delle crisi (il rapporto cita l’epidemia di virus ebola), le scuole sono state chiuse e molti bambini non vi hanno più fatto ritorno alla riapertura. Diversi gli ostacoli al rientro: inserimento nel mondo del lavoro, matrimonio precoce e gravidanza, vincoli finanziari familiari e disimpegno dall’apprendimento. Dopo la pandemia da COVID19 l’esodo di massa dalle scuole ha mostrato numeri minori rispetto a quelli che ci si aspettava, ma gli effetti nei paesi a basso e medio reddito sono stati comunque rilevanti, anche se significativamente diversi da paese a paese. Non sono mancate le sorprese, infatti. In Uruguay e in Uganda l’apprendimento è rimasto stabile (o addirittura migliorato in alcuni gradi e per alcune materie). In altri casi, invece, anche in paesi sviluppati sono stati registrati effetti negativi e differenze rilevanti tra prima e dopo la pandemia. Come nella Repubblica Ceca. E in Italia.