Covid, il decreto-manovra che tampona ma non cura

Dopo giorni di ritardo dall’annuncio, finalmente, il Decreto Cura Italia è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale che più che una mero decreto sembra una manovra finanziaria andando a usare tutti i 25mld in deficit disponibili per il sostegno di persone ed aziende.

Diciamo subito che, come ci hanno abituato il Premier e la sua maggioranza variabile (ma anche molti suoi predecessori anche d’eccellenza), nonostante le somme messe in campo non si vada a toccare nulla dello status quo ma si vada a tamponare le criticità sperando nel domani.

Questo è un giudizio oggettivamente sprezzante ma che ben descrive quale sia la reale portata delle azioni messe in campo.

Ci sono 3.5 mld per la sanità e vanno bene, così come le misure per il reperimento dei presidi sanitari necessari e di stimolo alla produzione, così come lo snellimento dell’iter di abilitazione dei nuovi medici per poter fronteggiare l’epidemia in corso ma dal lato del sostegno di famiglie e imprese si assiste al solito gioco delle tre carte.

Non si può negare, per onestà intellettuale, che all’interno del decreto ci siano dei provvedimenti necessari e, pure, ben strutturati come il congelamento dei versamenti delle imposte (che però andranno versati poi), la sospensione delle rate di mutui e finanziamenti, il credito d’imposta per gli affitti peri lavoratori autonomi e le norme su congedi parentali straordinari e sull’ampliamento dei permessi ex Legge 104 ma il resto sembra una pezza messa solo per tamponare l’emergenza senza voler affrontare le vere criticità che ci si troverà ad affrontare non appena la crisi sia terminata.

Si continua a proporre la Cassa Integrazione Guadagni come panacea per evitare che “nessuno sia licenziato” (altro provvedimento inserito nel Decreto) dimenticando che questa sia meramente lo spostamento del peso delle remunerazioni dal datore di lavoro alla fiscalità e alla contribuzione generale che, momentaneamente, potrebbe sembrare efficiente ma già nel medio periodo risulterebbe distorsiva e molto costosa per tutti, così come sono inutili i 600 euro di bonus per le partite IVA o i 100 euro per quei lavoratori dipendenti che non possano usufruire del lavoro agile.

Anche il “bonus baby sitter” risulta solo essere quasi un provvedimento di facciata perché anche solo le limitazioni alla circolazione delle persone rendono assai difficile trovare qualcuno che possa curare i figli a casa per via della chiusura delle scuole, in più resta un maggiore costo per le casse dello stato, fosse anche solo per via della previsione di spesa, e a debito, ovviamente, visto che per lo stanziamento complessivo di 25mld si sta facendo ricorso a un maggiore deficit e non a risorse già in cassa,

Il risultato, alla fine del periodo, sarà quello di uno stato maggiormente indebitato, credibilmente in recessione e, anche qui con molta probabilità, con un tasso di aziende chiuse o fallite, a causa del crollo della domanda nazionale e mondiale dovuta ai provvedimenti per arginare la pandemia in corso, che creeranno un ulteriore problema sia dal lato del gettito fiscale sia dal lato della gestione dei dipendenti che abbiano perso così il lavoro.

Scriveva il Manzoni, molto tempo fa, “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare” e questo Decreto segue esattamente questo assunto, manca di coraggio.

La flessibilità ottenuta sui conti pubblici, una volta disposti i capitoli emergenziali legati al sostegno del SSN e dei redditi avrebbe dovuto virare in un’ottica di investimento sul futuro, una volta passato l’uragano sars-cov2, per permettere a tutto di ripartire velocemente e, quindi, andando ad agire sulle criticità ddel sistema Italia.

La prima, che avrebbe tra l’altro un costo contenuto, sarebbe la sburocratizzazione del Paese, cosa che già renderà difficile l’accesso alle prestazioni previste dal “Cura Italia”, per snellire ogni processo interno, dalle autorizzazioni nel fare impresa alle transazioni immobiliari, in maniera da cassare uno dei costi ingenti, a livello di tempo e risorse finanziarie, in cui incorrono cittadini e imprese per ogni adempimento che abbia come controparte lo stato e dall’altra iniziare un’opera di semplificazione e riduzione fiscale shock.

La rimodulazione delle scadenze concentrandole in quattro appuntamenti annui al massimo, ad esempio, unita a un taglio corposo del cuneo fiscale e del costo dell’energia sarebbero provvedimenti ben più utili di una piccola liberalità, come quella elargita alle partite IVA, e prodromica a una maggiore crescita anche per una rinnovata attrattività del paese per gli investimenti locali e esteri.

Il settore turistico, poi, avrebbe bisogno di un maggiore sostegno, questo sarà un anno nero per un segmento che rappresenta oltre il 10% del PIL nazionale e il prossimo potrebbe non essere ancora sufficiente per la ripresa: un’azione sia a livello comunicativo che di sostegno alle imprese legata a un fondo di garanzia più corposo per il credito necessario a superare questo periodo sarebbe stato sicuramente più produttivo e meno oneroso a livello erariale.

Come già illustrato in un precedente intervento, poi, sarebbe opportuno sfruttare le limitazioni che il contenimento del contagio ha imposto per spingere un nuovo modello produttivo e di sviluppo, legato a strutture, laddove possibile, decentrate e con un sistema lavorativo più flessibile legato allo smart working per spingere sia la produttività sia la tutela dell’ambiente che avrebbe grande giovamento da spostamenti più contenuti e filiere più corte nella produzione e nella distribuzione delle merci.

Un sostegno, anche indiretto mediante agevolazioni fiscali per investimenti in tal senso, potrebbe essere ben più produttivo di una mera Cassa Integrazione permettendo anche di impiegare il personale nella riconversione del sistema produttivo e in attività di formazione prodromiche alla ripartenza non appena l’emergenza sia terminata.

È vero, in situazioni come quella che si sta vivendo ora, non è facile mantenere la lucidità e ancor meno facile fare scelte difficili e, forse, difficilmente comprensibili dalla gente, soprattutto a livello di governo ma la differenza fra mestieranti della politica e statisti la si fa proprio in questi casi, guardando al futuro tutelando al meglio il presente.