Covid-19, tra emergenza e responsabilità sanitaria

Nei giorni scorsi, abbiamo appreso che alcuni avvocati, con video, post sui social o annunci sponsorizzati, hanno offerto assistenza legale ai familiari dei deceduti per Covid-19 (nella tristemente nota endiadi “da/con”), invitandoli a far causa ai medici che li hanno assistiti. Questa notizia ha destato la preoccupazione degli addetti ai lavori per la possibile sovraesposizione giudiziaria e riacceso il dibattito sulle regole da applicare alla responsabilità dei sanitari, troppo spesso convenuti in contenziosi lunghi e costosi.

Immediate sono state le reazioni di politici e organismi di categoria. Il Consiglio Nazionale Forense ha condannato le iniziative degli avvocati che hanno offerto prestazioni volte ad incoraggiare azioni giudiziarie nei confronti dei sanitari dediti a fronteggiare l’emergenza Covid-19, impegnandosi a valutare la condotta etica e deontologica degli avvocati coinvolti.

Le parti politiche hanno, dal canto loro, proposto emendamenti al d.l. n. 18/2020 (‘decreto Cura Italia’) per limitare, in taluni casi finanche rimuovere, le responsabilità civili, penali ed erariali, di sanitari e strutture sanitarie. Formulati in modo molto diverso, gli emendamenti proposti avevano un unico obiettivo: derogare il regime ordinario di responsabilità sanitaria nel periodo dell’emergenza Covid -19.

Ebbene, l’idea di assicurare ai sanitari – i quali stanno rischiando la loro stessa vita per difendere quella di tutti noi – che i loro sforzi non saranno ripagati con azioni giudiziarie e richieste di risarcimento, può anche essere ritenuta valida, ma abbiamo davvero bisogno di nuove regole di responsabilità?

La responsabilità sanitaria è stata oggetto già di un’ampia riforma legislativa ad opera della cd. legge Gelli nel 2017, che, con pregi e difetti, ha posto regole di protezione e tutela per i sanitari e per la loro attività, troppo spesso orientata più alla precostituzione di prove (per non incorrere in responsabilità, la famosa medicina difensiva), che alla salvaguardia della salute del paziente. Questa legge àncora la responsabilità, civile e penale, del sanitario alla violazione delle linee guida elaborate dalle comunità scientifiche o, in assenza, alle buone pratiche cliniche assistenziali. Ma queste regole difficilmente potrebbero trovare applicazione alla pandemia in corso: la novità della patologia, la scarsa conoscenza scientifica del morbo e l’assenza di un protocollo terapeutico e farmaceutico, così come di linee guida validate dalla comunità scientifica o di buone pratiche, dovrebbero portare ad escludere una responsabilità del sanitario sotto tale aspetto.

A ciò, si aggiunga che le prestazioni sanitarie erogate in costanza di emergenza e con le note carenze strutturali ed organizzative dovrebbero considerarsi come volte alla risoluzione di problemi di speciale difficoltà (ai sensi dell’art. 2236 cod. civ.) e, conseguentemente, portare ad una significativa limitazione della responsabilità dei sanitari.

Credo che i sanitari non abbiano oggi bisogno di nuove e diverse regole di responsabilità, ma di una classe di operatori del diritto responsabile e preparata, pronta a bene applicare le regole già esistenti. Il sistema normativo vigente già assicura una risposta alle esigenze di tutela dei sanitari e dei pazienti.

Ma se vi è, ancora una volta, bisogno di una riforma sulla responsabilità sanitaria questa non potrebbe che essere generale e innovativa e dovrebbe scaturire dal lavoro congiunto del decisore politico e degli esperti del settore. Esperti che, in ambito civilistico, hanno prontamente risposto all’appello, proponendo diverse linee di intervento, come introdurre un indennizzo a beneficio dei pazienti irreversibilmente lesi dal Covid-19 o dei familiari dei deceduti a causa di questa patologia; e soprattutto – proposta che mi pare condivisibile, nel suo fondamento giuridico e sociale, anche considerata l’autorevolezza della Fonte – di mettere in pratica il dovere di solidarietà stabilito dalla Costituzione e prevedere che una quota parte dei risarcimenti derivanti da malpractice sanitaria venga destinata ad un fondo per il miglioramento dei mezzi, delle strumentazioni, delle strutture sanitarie deputate alla cura, in modo da evitare che in futuro accadano altri incidenti, altri errori.

Probabilmente diversa è la posizione delle strutture sanitarie impegnate nell’emergenza Covid -19 che hanno mostrato carenze di organizzazione, mezzi e competenze. Un esonero generale da responsabilità per le strutture sanitarie potrebbe risultare iniquo, oltre che lesivo dell’art. 32 della Costituzione. La tutela della salute umana è un valore centrale nel nostro sistema e una novella che esonerasse i gestori delle strutture sanitarie nei confronti non solo dei pazienti, ma anche del personale medico e paramedico, ne svilirebbe il ruolo e la tutela. La cura effettiva della salute non si realizza soltanto mediante l’adozione delle misure organizzative e gestionali previste dalla legge, ma anche attraverso sanzioni e responsabilità adeguate. Ma non è questo il tempo di ripartire responsabilità, questo è il tempo di lavorare insieme per assicurare a tutti una tutela equa: ai sanitari, la tutela della salute e il riparo da azioni giudiziarie intimidatorie e infruttuose; ai pazienti, tutti, l’accesso alle migliori cure esistenti. Ci sarà poi il tempo di valutare (nel contesto in cui si sono realizzate) le decisioni assunte e di verificare se talune di esse possano dar luogo a responsabilità.