Cosa lascia Draghi alla Bce

Con la fine di ottobre scadrà il mandato di mandato di Mario Draghi alla guida della Bce. Gli anni trascorsi sono stati importantissimi nella, seppur breve finora, vita dell’istituzione monetaria europea e nessuno dei predecessori, né Duisenberg né Trichet, sono stati così incisivi nella loro azione come lo è stato, invece, l’italiano.

Il periodo alla guida della Bce di Draghi, infatti, ha coinciso con gli anni più difficili vissuti dall’intera Unione e non è un’esagerazione affermare che, se nel 2019 ancora esiste un’Unione Europea, sia anche e fortemente merito di Draghi. Già nel 2011, prima di entrare in carica, si trovò a fronteggiare la crisi del debito italiana e fu autore, a quattro mani con il suo predecessore, di una lettera al governo Berlusconi per spingere le correzioni necessarie di politica economica. Viste le premesse, in verità, non sembrava che la nuova gestione della Bce si discostasse da quelle precedenti, piuttosto inerti e che si muovevano in reazione ai dati macroeconomici per mantenere il target inflazionistico che costituiva, a tutti gli effetti, l’unica mission della Banca ma dopo qualche mese tutto cambiò.

Era il 2012 e i mercati finanziari erano squassati da una crisi generalizzata del debito sovrano, con le banche spagnole a tappeto, una Grecia nel caos e un’Italia a rischio contagio, quando, improvvisamente, giunse un messaggio da Londra, dove si trovava allora il governatore “Ho un messaggio chiaro da darvi: nell’ambito del nostro mandato la Bce è pronta a fare tutto il necessario a preservare l’euro. E credetemi: sarà abbastanza”; quelle parole “a fare tutto il necessario” (nel discorso originario “whatever it takes”, oggi divenuto quasi proverbiale) salvarono, di fatto, tutta l’area Euro. L’effetto annuncio dato dalla possibilità della Banca Centrale di acquistare il debito pubblico dei Paesi della zona euro barattando nuova liquidità in cambio di piani di riforma strutturale, placò i mercati frenando le speculazioni che si stavano muovendo dei bond dei paesi periferici come l’Italia.

Fu, però, il 2014 il vero giro di boa, quando per far fronte a un fenomeno deflattivo diffuso e alla stagnazione che aveva colpito tutta l’Europa Draghi annunciò, a inizio 2015, un programma di Quantitative Easing, cioè la monetizzazione del debito sovrano acquistando i titoli sul mercato secondario, mantenendoli in portafoglio a scadenza e immettendo nel sistema nuova liquidità nel sistema a un ritmo di 60 miliardi di euro al mese per riportare il tasso d’inflazione vicino al 2% programmatico unendo all’azione di stimolo un drastico taglio dei tassi che giunsero fino ai livelli attuali che si mantengono negativi sui depositi. Il primo programma di stimolo verteva all’aumento della liquidità del sistema per permettere investimenti e calmierare i tassi delle emissioni sovrani mentre il secondo mira a influenzare la velocità di circolazione e permettere che la maggiore liquidità disponibile si trasformi in nuovo credito a imprese a famiglie a sostegno di investimenti e consumi.

Non è un mistero che questa azione non abbia avuto i risultati sperati e, oggi, si avvii a diventare strutturale da temporanea che era quando fu “portata a terra” poiché i prezzi non hanno mai raggiunto l’obiettivo prefissato e, dopo una breve pausa nel programma di acquisto fortemente voluto dai falchi tedeschi e nordeuropei, la Bce ha dovuto ricominciare con gli acquisti a sostegno della crescita. Si arriva al 2015 quando la crisi greca, in atto fin dal 2009 e che nel 2012 era stata una della cause del già citato “whatever it takes” entrò in una nuova fase di pericolosità per tutto il sistema. Il neogoverno Tsipras minacciava l’uscita dall’euro e nei mesi di tira e molla la situazione che era prossima a un vero percorso di rientro nella normalità ebbe un brusco aggravamento, con il paese prossimo a un collasso finanziario dovuto alla crisi bancaria che stava diventando sempre più violenta.

Con l’Emergency Liquidity Assistance la Bce e il Fmi evitarono il default del sistema bancario e con il paino di Qe si riuscì a stabilizzare la situazione finanziaria e l’economia in cambio, però, di riforme dolorose per la Grecia che, tutt’oggi, ne paga le conseguenze. Si entra, così, in quest’ultimo biennio del mandato e, all’inizio del 2018, le Banche Centrali (soprattutto Bce e Fed) misero in pista una nuova strategia monetaria per “normalizzare” la situazione, tanto che Jerome Powell, successore di Janet Yellen a capo del Federal Reserve System, iniziò un programma di tapering riducendo gli acquisti di bond e rialzando i tassi per ben 4 volte, mentre anche a Francoforte si cominciò a discutere di un rialzo del costo del denaro.

Nell’ultimo quarto dell’anno qualcosa cambiò. L’economia mondiale mostrò dei segnali di rallentamento e l’Italia, in particolare, entrò in recessione tecnica dopo diversi trimestri di crescita positiva; tutto questo portò a una pausa nelle politiche di normalizzazione della politica monetaria e, la scorsa estate, alla decisione di invertire nuovamente la tendenza portando a un nuovo taglio di tassi da parte dia della Fed sia della Bce, quest’ultimo non senza sollevare una certa opposizione da parte di alcuni membri del board. Si arriva, quindi, ad oggi, agli ultimi giorni di mandato del Governatore che, più di chiunque altro, ha segnato le sorti dell’autorità monetaria europea e, in un certo qual modo, dell’intera Unione.

Il giudizio sull’operato di Draghi non è sicuramente unanime, figlio com'è delle diverse weltanschauung dei commentatori e degli analisti provenienti da diverse scuole di pensiero economico, certo è che senza di lui, credibilmente, oggi non potremmo più parlare di un’Unione Europea visto che il suo operato ha frenato le spinte centrifughe di molte zone e ha disinnescato la bomba della crisi del debito sovrano che avrebbe potuto far collassare su di sé la moneta unica e tutto l’impianto europeo. La scelta del successore Christine Lagarde, quindi, sembra oggi fatta in un’ottica di continuità sia per il profilo dell’ex capo del Fmi sia per la sua attitudine, certo è che Mario Draghi non lascia un’eredità facile e la sfida per il prossimo Governatore sarà grande per essere all’altezza del predecessore.