Correzione o procedura: l'aut-aut di Bruxelles
umenta ogni giorno di più il rischio che scatti per l’Italia la procedura di infrazione per eccesso di disavanzo sulla regola del debito, sostenuta dalla Commissione, già accolta dai responsabili tecnici dei ministeri economici dei paesi europei, discussa ieri a Bruxelles alla riunione dell’Eurogruppo e destinata a venir approvata in definitiva nella prima settimana di luglio. Ieri tutti i maggiori esponenti europei – il presidente Juncker, il vicepresidente Dombrovskis, il commissario agli affari economici Moscovici – insieme al leader del Fmi Christine Lagarde hanno ricordato all’Italia che, o c’è una correzione sostanziale dei nostri pubblici realizzata subito, con impegni precisi e non promesse vaghe, oppure sarà fatale che scatti la procedura. Su cui pare di capire che siano tutti d’accordo tranne noi. Si badi che finora non si ha precedente di una sanzione di questo tipo per violazione della regola del debito, e che si tratta di una procedura particolarmente pesante che vincolerebbe l’Italia per anni, imbriglierebbe le spese della pubblica amministrazione, finirebbe per costituire un collare in grado di strozzare il debole andamento dell’economia italiana.
Bruxelles chiede una manovra correttiva per l’immediato per almeno quattro miliardi, ma Tria ha ripetuto ai suoi colleghi che non sarà necessaria, che i conti sono sotto controllo e che ci sono risorse sufficienti per mantenere nella stessa situazione (e si riferisce ai risparmi fatti sul reddito di cittadinanza e quota 100). Il problema è che al momento non c’è governo europeo che sostenga la linea di difesa italiana: attualmente infatti non abbiamo chi ci faccia da sponda. Neanche il portoghese Centeno, che pure come leader del suo paese sa bene cosa significhi avere il controllo della Commissione sui propri conti. Inoltre i paesi “sovranisti” in queste ore si stanno dimostrando i più rigidi nel difendere il rispetto delle regole da parte di tutti, a cominciare dall’Italia. A fronte di questo isolamento, il ministro Tria si trova in una condizione di particolare debolezza giacché non ha alle proprie spalle un pieno mandato a trattare: viceversa le ultime riunioni di governo hanno dimostrato che i due partiti alleati sono intenzionati a non cedere di fronte ai diktat comunitari, e questo da parte soprattutto di Matteo Salvini il quale insiste che l’unica cosa da fare è abbassare le tasse e introdurre la flat tax.
Quando Tria risponde che per finanziare una simile riforma non ci sono soldi e che bisognerebbe farla in deficit, cosa ora impensabile, Salvini continua a non sentire ragioni. Come se ne uscirà? Probabilmente si precipiterà una trattativa fino all’ultimo minuto prima della riunione decisiva come accadde nel dicembre scorso quando Bruxelles ci impose di abbassare il deficit previsto dal 2,4 per cento al 2,04 sul Pil. Ma per arrivare a mettere una firma il presidente Conte e il ministro Tria devono sapere che Salvini e Di Maio li sostengono fino in fondo. Attualmente non è così.
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