Coronavirus ed epidemie passate? La Storia non si ripete mai

A Interris.it l'analisi dello storico e saggista Franco Cardini: "Come una spirale, produce cose sempre nuove ma con caratteristiche che conosciamo, dandoci la sensazione del già vissuto"

Esistono similitudini tra l’attuale pandemia di coronavirus e altre situazioni simili accadute in passato? La ricerca di contatti e intersezioni fra diversi periodi storici costituisce una costante per il genere umano che, di epoca in epoca, cerca di stabilire una connessione fra eventi contemporanei e quelli passati, anche e soprattutto al fine di fornire risposte adeguate nonostante i mutamenti della Storia. Il punto, però, è che la Storia è di per sé costituita da poche costanti, o quantomeno soggette all’influenza di fortissime variabili che, pur dando la sensazione del già vissuto, mettono in risalto differenze sostanziali. Interris.it lo ha chiesto al professor Franco Cradini, storico, docente e saggisti, specializzato nello studio del Medioevo.

Professor Cardini, è giusto avanzare un paragone di tipo storico fra l’attuale pandemia e alcune delle grandi epidemie dei secoli scorsi?
“Come studioso e insegnante di storia, non ho mai trovato che sia particolarmente giusto o necessario fare paragoni storici. E’ vero che si usa farli, che c’è un’abitudine in parte retorica, in parte didattica che la Storia sia maestra di vita, ecc. Non meno vero che, evidentemente, nella storia ci siano situazioni che somigliano alle precedenti. D’altra parte, l’essere umano è un bipede e, come tale, ha una conformazione ciclica: non sopporta i climi né troppo caldi, né troppo freddi, asciutti o umidi. Le zone in cui può vivere sono quelle che conosciamo, la cosiddetta ecumene e, naturalmente, in queste condizioni di tipo climatico, è evidente che l’essere umano è conformato anche psichicamente oltre che fisiologicamente in un certo modo a certe pulsioni. E quindi, che la combinazione tra il suo assetto psichico e l’ambiente in cui vive fa sì che di continuo si creino situazioni simili. Ma questa somiglianza va messa in rapporto alle diversità. Anzi, in antropologia no, contano più le costanti. Ma in Storia contano più le variabili. E’ vero che questa situazione può essere paragonata, nell’ordine, e fermandoci alle principali pandemie: quella cosiddetta di Pericle, che conosciamo perché ad Atene ne ha parlato Tucidide; c’è la peste del II secolo d.C. a Roma, la cosiddetta Peste degli Antonini, descritta nientemeno che da Galeno, il più grande medico dell’Impero romano, che fuggì da Roma. E questo si dimostra quanto le epidemie siano tanto più pericolose in ambienti sovrappopolati. Non si sapeva nulla di microbi o virus ma di questo già ci si rendeva conto; c’è la cosiddetta peste di Giustiniano, testimoniata da Procopio di Cesarea e da lui vissuta a Costantinopoli; c’è poi la peste del Boccaccio, quella arrivata a Firenze nel 1348 ma durata complessivamente sei anni; l’ultima grande che si ricorda, perché legata a un’opera letteraria, è quella descritta dal Manzoni che, comunque, non era contemporaneo all’epidemia”.

Quali sono le costanti?
“Direi, sono sempre abbastanza simili. In un primo tempo, l’epidemia arriva accompagnata da scetticismo: si parla di questa malattia sviluppatasi misteriosamente in luoghi lontani, quando arriva lo fa sempre in modo inaspettata, nonostante se ne sapesse già qualcosa. Fa paura, genera panico e l’immediata ricerca del responsabile. Questo può essere naturale, come la corruzione dell’aria o, anticamente, si utilizzavano addirittura le credenze astrologiche. Non abbiamo nessun diritto di chiamare queste forme di sapere prescientifiche: erano appunto basate sulla fisiologia del periodo, stabilita da Aristotele, le quattro sostanze del mondo – terra, aria, acqua e fuoco -. Queste durano a lungo ma, pian piano, si comincia a capire che il contagio, per esempio, passa dei mediatori, che possono essere altri esseri umani o animali. Il bacillo delle pulci, ad esempio, si chiama Yersinia, in onore del medico che lo scoprì, Alexander Yersin durante la Peste di Hong Kong. Dunque, prima incredulità, poi ricerca spasmodica, maniacale del colpevole o dei colpevoli: natura, stelle, agenti malvagi, uomini o donne che vogliono fare del male, le streghe nel ‘600, i famosi untori al servizio del diavolo. Nella peste del 1630 c’era in corso la Guerra dei Trent’anni, Manzoni parla di untori come servi del demonio ma sostenuti dal re di Francia. Oggi siamo pieni di quelle che chiamiamo fake news, che poi sono gran parte della Storia, fatta più di fake che di verità accertate documentaristicamente. E allora parlavano proprio di questo. Quelle di oggi, a seconda delle simpatie politiche, attribuiscono colpe all’uno o all’altro.

Il problema è che non è mai possibile, in Storia, trovare un solo responsabile. Certi fenomeni avvengono quando c’è una coincidenza di elementi, che può essere climatica, ambientale e, perché no, ci può essere anche stato un incidente, un esperimento andato male. Queste sono le costanti: incredulità, panico, ricerca dei responsabili e, infine, tentativo di arginare”.

Per quanto riguarda le variabili?
“Anzitutto, in passato, le epidemie arrivavano più lentamente di oggi. C’era per certi versi il tempo di far montare una sorta di complesso di paura diffusa. Per un altro verso, però, c’era un modo di prepararsi un po’ di più, anche se gli strumenti per arginare una malattia sconosciuta erano primordiali, comunque molto più semplici di oggi. Si era capito che stare vicini gli uni agli altri era pericoloso, si cercava di non farlo ma c’erano delle controindicazioni: la società del passato, ad esempio del Medioevo conosciuta dal Boccaccio, dà grande importanza alla religione e alla fede. Quando c’è un’epidemia si prega, lo si può fare intimamente ma la preghiera importante è quella di gruppo, messe e processioni. Tutte cose che, oggi lo sappiamo bene – e infatti la Chiesa ha tenuto un atteggiamento diverso -, diffondevano il contagio invece che fermarlo. Ci si chiede quindi perché Dio ce l’ha con noi, e nasce un problema che i credenti cristiani hanno riscoperto in questi giorni, soprattutto quelli protestanti americani, che spesso riprendono il tema della punizione divina. Stranamente, però, non si rifletta su altre cose: ad esempio che non si muore nella stessa maniera in tutti i continenti. Da noi le cose si possono arginare ma in altri posti, poveri non perché lo sono di per sé ma perché le loro ricchezze sono drenate da un’organizzazione prevalentemente occidentale. Non ci si chiede se, magari, Dio potrebbe essere arrabbiato per questo, perché i poveri muoiono senza che si faccia abbastanza per aiutarli. Le giustificazioni sono sempre molto più legate alle ideologie di chi le fornisce che a un quadro obiettivo. Naturalmente oggi ci sono delle variabili importantissime: abbiamo conoscenze scientifiche maggiori, ci possiamo tutelare in maniera migliore, c’è lo svantaggio che le comunicazioni fanno sì che il contagio galoppi, mentre prima andava più piano. Oggi, ogni giorno, ci sono – o c’erano fino a poco tempo fa- migliaia di arrivi soltanto aerei, e un contagio che prima impiegava mesi, oggi arriva nel giro di pochi giorni. In cambio abbiamo condizioni sociali ed economiche che sono più efficienti. Tenere in casa la gente e non farla girare, nei secoli scorsi, sarebbe stato molto più difficile, perché i mezzi tecnici erano meno efficaci e nessuno poteva controllarsi come può farlo oggi”.

In conclusione?
“E’ vero, dunque, che esistono delle somiglianze ma anche che esistono delle variabili, perché la Storia non si ripete mai. E quel che succede oggi non è del tutto nuovo. Alla figura dell’eterno ritorno della Storia, come dice Nietzsche, e la figura della freccia del tempo, la Storia pensata come continuo progresso, bisognerebbe accettare una via di mezzo: la Storia, come una sorta di spirale che si avvita su se stessa, produce cose sempre nuove ma che si presentano con qualche carattere che conosciamo e che quindi ci dà l’idea del già vissuto”.

Professor Franco Cardini
Storico, docenete e saggista