Consultazioni, fra veti e controveti

Il senso esatto di una giornata di non consultazioni ma di semplici passeggiate al Colle, come da prassi Costituzionale, lo offrono due dichiarazioni talmente distanti fra loro da sembrare gli atti due commedie dell’assurdo. Da una parte Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, squaderna ai cronisti appollaiati alla vetrata l’unico tema del momento. “Si può parlare anche di governo di minoranza”, sostiene la presidente del partito al termine del colloquio con il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, precisando tuttavia che si deve trattare di un esecutivo “a trazione centrodestra”. Secondo la Meloni “i numeri sono molto meno lontani e molto meno impossibili” di quanto si creda. Non a caso la Meloni ha annunciato che solleciterà gli alleati della coalizione a salire al Colle, per un eventuale secondo giro di consultazioni, in un’unica delegazione. Il che significa stoppare le fughe in avanti della Lega e le frenate di Forza Italia, offrendo a Silvio Berlusconi un modo per tornare in corsa.

L’esecutivo Lega-5 Stelle sembra allontanarsi. Per contrasto dal versante opposto arriva la dichiarazione di guerra di Martina. Il segretario reggente del Pd ha annunciato che “l’Assemblea nazionale del Partito Democratico è convocata per sabato 21 aprile. E che si candida a segretario, “in coerenza con il lavoro di queste settimane da reggente”. Detto alla vigilia della salita al Colle della delegazione del suo partito, le parole di Martina suonano come una sconfessione del lavoro svolto dal suo predecessore. Per la delegazione del Pd, quella di giovedì 5 aprile non sarà una giornata facile. Soprattutto per il quadro che si va delineando. Di intese vere, al momento, non se ne vedono e i toni usati dai leader scesi in pista per il primo giro di valzer sono più aderenti a una campagna elettorale che a una voglia matta di fare un governo, foss’anche solo di programma. Ognuno dei protagonisti sta cercando di capitalizzare il possibile, più che cercare possibili soluzioni  e questo rischia di creare un serio problema al Quirinale.

Certo, c’è da capire cosa diranno i big del secondo giorno, quelli che dispongono dei numeri maggiori, ma la sensazione è che il taglio del traguardo sia lontano. Mattarella, intanto, ascolta i suoi consiglieri, che prendono appunti registrando ogni minimo segnale, qualche domanda ai vari esponenti politici che si succedono sulle poltroncine dello studio alla Vetrata, una raccomandazione al senso di responsabilità verso il Paese che attende il governo. E non gli sfugge, anche dai primi colloqui, che la situazione è assai complicata. Nessuno dei consultati ha chiesto il ritorno alle urne, anzi la maggioranza ha chiesto che si possa evitare di precipitare nuovamente il Paese al voto. L’unica che vi ha accennato come possibilità, anche se da scongiurare, è stata Giorgia Meloni. E questo non può che far riflettere. Ovviamente per fare ciò serve una rapidissima modifica al Rosatellum, con un premio di maggioranza alla lista o alla coalizione, in modo da garantire una maggioranza per il governo. Laltra piccola novità è la posizione di Leu, che ha aperto a un dialogo nel centrosinistra e non ha chiuso al M5s, indicando comunque nel programma il terreno di un eventuale confronto.

Nell’insieme è stata una giornata necessariamente interlocutoria, dato che i big, i gruppi più numerosi, saliranno al Quirinale solo oggi. Silvio Berlusconi alla guida di Fi, Matteo Salvini della Lega, Maurizio Martina del Pd e Luigi Di Maio di M5s. I quattro non si sono scambiati grandi cortesie, anzi hanno confermato quel clima di veti e controveti che non fa ben sperare in una soluzione a breve. Ecco perché, in attesa di sondare gli altri partiti, molti già scommettono sul fatto che a metà della prossima settimana ci sarà un secondo giro di consultazioni. In quell’occasione difficilmente l'atteggiamento di Mattarella sarà ancora solo di ascolto rispettoso, il richiamo lanciato alle forze politiche perché rispondano alle esigenze dei cittadini sarà  reiterato, come pure la sottolineatura del fatto che quando ci si trova davanti a un sistema elettorale proporzionale bisogna fare dei passi avanti reciproci per dar vita a un governo. Il Presidente ha tutta la pazienza di questo mondo, non intende mettere fretta ed è disposto a concedere qualche giorno di ulteriore riflessione se è per giungere alla nascita di un governo, ma le calende greche non sono tra le ipotesi che prende in considerazione.