Il disegno di legge che punta a rendere possibile chiedere e ottenere di essere uccisi in tutti i casi di sofferenza (anche psicologica), di iniziativa popolare ma di fatto sostenuto da parte della maggioranza di governo (M5S) e dalle sinistre, ĆØ completamente irricevibile. CosƬ irricevibile che ĆØ pleonastico qualunque tentativo di argomentazione in punto di diritto della assoluta contrarietĆ del Ddl alla Costituzione e allāintero ordinamento. Sia sufficiente solo dire, per confutare un falso in circolazione, che nell'ordinanza resa sul caso Cappato la Corte Costituzionale non ha chiesto affatto la c.d. eutanasia e ha negato che vi sia nella Costituzione italiana o nella Convenzione europea dei diritti dellāuomo un diritto a āottenere dallo stato o da terzi un aiuto a morireā. Tuttavia, il principio di autodeterminazione, di derivazione giurisprudenziale e non certo legislativa, elevato a totem sullāaltare del quale sacrificare qualunque altro valore o situazione giuridica, al punto da trasformare i sanitari in sicari a pronta richiesta, sta determinando il rovesciamento della sostanza ontologica del nostro ordinamento e del suo finalismo intrinseco.
Dinanzi a proposte di legge incommensurabili in ragione della loro radicale antigiuridicitĆ come questa, la reazione allora non puĆ² essere solo quella degli “addetti ai lavoriā (medici, giuristi), della quale pure si avverte lāinconsistenza e la resa soffocata tra le urla del politicamente corretto: deve essere una reazione piĆ¹ ampia, di popolo, diffusa, trasversale. Una reazione che sovrasti quelle urla affermando la veritĆ della questione: se i malati gravi, i disabili, i malati terminali (a proposito, cāĆØ forse qualcuno che non si considera tale?) ricevessero dai medici, dalle istituzioni, dalle persone che li circondano, tutta lāattenzione umana e professionale e il sostegnoĀ materiale e affettivoĀ che meritano, le richieste di eutanasia sarebbero prossime allo zero. PerchĆ©, in ultimo, ciĆ² che i promotori della morte di Stato non comprendono ĆØ che una domanda di morte ĆØ una angosciata richiesta dāamore. La morte ĆØ sempre meno improvvisa e il tempo che la precede costringe a rinunciare ad abitudini e affetti rischiando di generare nonsenso e vuoto, complice anche lāaffievolimento dei legami familiari e della coscienza religiosa.
Se non si puĆ² guarire si deve, perĆ², curare, prendersi cura, venire incontro ai bisogni delle persone gravemente disabili o prossime alla morte, respingendo laĀ āmedicina economicaā e la cultura dello scarto delle persone non piĆ¹ efficienti o produttive. Come? Ad esempio promuovendo e rendendo financo obbligatoria, quando ĆØ necessario, la medicina palliativa. Una legge sulle cure palliative cāĆØ ma ĆØ priva di qualunque effettivitĆ perchĆ© mai sono state investite le risorse nĆ© formate le professionalitĆ necessarie. Eppure, lāesperienza medica degli hospice e dei percorsi palliativi dimostra che se si sta vicini ai malati, si dosa con precisione i medicamenti anestetici e si seda il loro dolore fisico,Ā mentre ci si prende cura e si abbraccia anche il loro dolore esistenziale, le domande di eutanasia non ci saranno piĆ¹. Avviare da qui una grande battaglia civile e culturale che coinvolga il Paese, potrebbe evitare che la discussione parlamentare – che giĆ si prefigura a tappe forzate, come sempre – si svolga in un clima di disinteresse e semplificazione che prelude a un futuro tetro per la nostra societĆ .
Avv. Francesco Cavallo – Centro Studi Rosario Livatino