Chi sono le persone a cui è dedicata la Giornata Mondiale Umanitaria

Il 19 agosto si celebra la Giornata Umanitaria Mondiale (WHD). La decisione di dedicare una giornata a questo tema risale al 2008. Nel 2003, un attentato dinamitardo a Baghdad, in Iraq, uccise 22 operatori umanitari. Cinque anni dopo, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione con la quale indicava il 19 agosto come Giornata Umanitaria Mondiale o Giornata Mondiale per gli Aiuti Umanitari.

La campagna del 2022 parte da uno slogan: “C’è un detto che dice: ci vuole un villaggio per crescere un bambino. Allo stesso modo, ci vuole un villaggio per sostenere una persona in una crisi umanitaria”. Un modo per ricordare a tutti l’importanza che hanno nel mondo i milioni di volontari e professionisti che dedicano parte del loro tempo ad aiutare il prossimo. A volte anche mettendo a rischio la propria vita. Nel 2021, sono stati 460 gli operatori umanitari vittime di attacchi: di questi, 140 sono stati uccisi, 203 sono rimasti feriti e 117 rapiti. Un numero impressionante ma che potrebbe essere tremendamente sottostimato: di molti volontari non si sa nemmeno che sono sul campo, che sono attivi per aiutare chi davvero ha bisogno di loro. Altro aspetto importante, degli operatori umanitari morti nel 2021, il 98% era personale nazionale (solo il 2% era personale internazionale) e più della metà (53%) era personale di ONG nazionali.

Numeri importanti che confermano che quando si parla di “aiuti umanitari” non bisogna pensare solo a quelli delle “missioni di pace” o delle grandi manovre realizzate da grandi associazioni internazionali (le stesse che poi sbandierano le proprie iniziative in televisione e sui media nella sporadica ricerca di aiuti e lasciti). No. La maggior parte degli aiuti umanitari arriva da piccole associazioni, i cui nomi sono spesso sconosciuti ai più. In qualche caso da sedi locali di associazioni internazionali delle quali si sente parlare poco o niente. Ma il nome dei milioni di uomini e donne attivi nel volontariato non finisce mai sui TG, tra la notizia di questo o quel calciatore acquistato da questa o quella squadra o dopo la notizia del lancio di un nuovo programma TV. Il loro nome non lo conoscono nemmeno le migliaia di persone che hanno ricevuto il loro aiuto.

In Sud Sudan, in Afghanistan, in Siria (i tre paesi dove maggiori sono state le perdite di personale umanitario, nel 2021) e, dal 2022, in Ucraina. Eppure è a queste persone che è dedicata la Giornata Mondiale Umanitaria (WHD). Una giornata che quest’anno si concentra sulla metafora dello sforzo collettivo, il “villaggio”, per far crescere e conoscere il vero significato del lavoro umanitario. Spesso, sono le stesse persone colpite le prime a rispondere quando si verifica un disastro. In Africa, in Asia, ovunque. E lo fanno lontano dai riflettori. Fuori dai titoli delle prime pagine. In un silenzio assordante alimentato da uno spirito umanitario che allevia la sofferenza e porta speranza a chi ne ha bisogno.

Il tema della WHD 2022 è questo: mostrare l’importanza, l’efficacia e l’impatto positivo delle iniziative umanitarie realizzate da queste persone. É grazie al loro aiuto se finora, nel 2022, sono state “solo” 274 milioni in 63 paesi, le persone che hanno avuto bisogno di assistenza e protezione umanitaria. Un numero maggiore rispetto ai 235 milioni di persone di un anno fa (già maggiore degli ultimi decenni). Aiuti che sono non solo umanitari ma anche materiali: le stime dell’UNOCHA, per il 2022, parlano di un costo di 41 miliardi di dollari. Ma il numero reale sarebbe certamente maggiore senza l’impegno silenzioso di milioni di volontari.

Tante le cause che portano così tante persone ad aver bisogno di assistenza e aiuto umanitario. E tutte ben note. I cambiamenti climatici. La fame. I disastri ambientali, dei quali nessuno ammette di essere responsabile e molti fingono di non sapere nulla. E poi le guerre, che aumentano, nonostante tutti i paesi sviluppati continuino a professarsi paladini della pace (ma poi gongolano grazie al fatturato delle aziende che producono armi e armamenti). Solo pochi giorni fa, in un discorso al Global Crisis Response Group (GCRG) on Food, Energy and Finance, parlando della guerra in Ucraina, il Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, ha detto che i governi dovrebbero “tassare questi profitti eccessivi” delle multinazionali “e utilizzare i fondi raccolti per sostenere le persone più vulnerabili in questi tempi difficili”. Un chiaro riferimento ai profitti multimiliardari delle multinazionali del petrolio. Una “corsa al carburante” che ha posto i paesi ricchi in condizioni di vantaggio rispetto ai paesi in via di sviluppo e che aumenta il gap esistente, a livello globale, con conseguenze facilmente immaginabili, in termini di disagio, di crescita (mancata), impossibilità di rispondere alle emergenze e di problemi sociali (si pensi al fenomeno dei migranti).

Belle parole. Finora, però, gli unici a lottare per far fronte a questi problemi sono i volontari, il personale umanitario. Gli abitanti di quel “villaggio” di cui non parla nessuno. Un “villaggio” che non ha confini territoriali né culturali né religiosi né razziali né di altro tipo. Un “villaggio” i cui abitanti sono sempre pronti ad intervenire per aiutare chi ha bisogno. Non solo durante la Giornata loro dedicata. Sempre. A volte anche a costo della propria vita.

C.Alessandro Mauceri, Chair MSNA e MS Kiwanis Distretto Italia San Marino