Chi è il vero insegnante

Tutto dipende dallo sguardo: si è educatori quando i ragazzi non si vedono più studenti, bravi o asini, ripetenti o portatori di handicap, quando si è capaci di vedere in essi le persone che sono, nelle loro dimensioni globali, con i doni specifici, con i progetti da rivelare.

E’ lo sguardo che fa la differenza tra il docente e l’educatore. Guardare ai ragazzi come oggetti di apprendimento (di nozioni o di comportamenti non cambia) significa rinunciare a scoprirne la varietà di aspetti emotivi, sentimentali, relazionali, creativi, spirituali, e di conseguenza fallire o falsare il rapporto educativo con essi.

Essere educatori significa aiutare i ragazzi a tirare fuori di sé il cumulo di ricchezze che contengono, fatto di doni speciali, particolari, diversi. Chi possiede il pallino della matematica, chi dello sport, chi sa fare riflessioni profonde, chi è capace di creare allegria, ottimismo o tenerezza, chi è sensibile alla natura o alla musica…

Essere educatori conduce a scoperte straordinarie sui ragazzi, a capire la presenza di magnifiche realtà in sviluppo. Non esistono più livelli didattici di bravura, non esiste più l’handicap. esistono diversità che sono doni per gli altri.

Occorre uno sguardo diverso, non quello della didattica che cerca e premia alcuni tipi selezionati di intelligenza e si relaziona attraverso essi bloccando la comunicazione con coloro che meno li possiedono. Occorre uno sguardo profondo, libero da intenzioni secondarie, profittuali, da progetti prefabbricati di adulti, uno sguardo gratuito, d’amore per la vita.

Attraverso questa lente di gratuità l’insegnante educatore può schiudere mondi altrimenti inaccessibili e metterli a disposizione per l’arricchimento degli altri compagni, dei genitori, di se stesso. Solo allora la didattica può fiorire e svilupparsi sulla base di esperienze ricche e concrete che partono dalla vita e tornano ad essa come interiorizzazione e crescita delle persone.

La metodologia è il vivere esperienze significative, gli strumenti sono il dialogo e fare assieme, i temi didattici le occasioni di confronto. L’insegnante diviene colui che suscita tutto ciò, che si pone al livello dei suoi ragazzi, dei loro bisogni, delle loro capacità per stimolarli a crescere, a sviluppare i doni, per valorizzare le diversità. Attorno a lui essi creano amicizia, solidarietà fiducia, affrontano serenamente le difficoltà personali, i conflitti inevitabili, acquistano fiducia negli altri, speranza nel futuro e desiderio di ricerca.

L’insegnante diviene qualcosa di più, una figura di riferimento importante, autorevole (e non più autoritaria), un maestro di vita. Al di là degli errori che commette, di tutti i difetti che possiede, i ragazzi vedono in lui lo sguardo gratuito, il rispetto e l’amore che ha per essi, la coerenza del suo comportamento.

La stessa unione, lo stesso dialogo e la cooperazione che l’insegnante richiede ai ragazzi egli infatti cerca di viverli nei loro confronti, con gli altri insegnanti e con i genitori. I ragazzi vedono in lui la ricerca della verità in cui impegna la sua professionalità, il suo modo di lavorare, di incontrarsi con altri educatori, di formarsi professionalmente.

Anche il dirigente, alle stesse condizioni, può essere educatore e maestro di vita, sensibile e disponibile ai bisogni dei ragazzi, coordinatore e animatore di una comunità educante alla scuola. Una comunità imprescindibile, obbligatoria per essere credibili agli occhi dei giovani e delle famiglie. Un nuovo modo di essere insegnanti e dirigenti basato sul costruire la scuola assieme a famiglie e ragazzi secondo un progetto condiviso, a misure di persone e di realtà.