Caino e Abele

Ogni volta che vedo la foto di Aldo Moro riverso nel bagagliaio dell’auto in cui fu trovato dopo l’assassinio da parte delle Br, non posso non ricordare anche quella di Giuseppe Taliercio, anche lui ucciso dalle Bb, dopo un lungo e tormentato sequestro.

Ripenso poi ai volti dei familiari nell’apprendere la fine dei loro cari. Alla moglie, ai figli raccolti in preghiera con in mano un rosario, aggrappati ad una speranza. Volti di persone che pur nella sofferenza erano illuminati dalla fede e dalla dignità. Una dignità che li ha uniti a tutti i morti per terrorismo.

Chi muore per mano dei terroristi muore cosciente della caducità del proprio destino. In questi anni quante famiglie sono state private dei propri cari: magistrati, tutori dell’ordine, sindacalisti, giornalisti. Una immensa schiera di eroi consapevoli di dover morire per la testimonianza a cui lo Stato li aveva chiamati, in politica come il presidente Aldo Moro e nel sociale.

Ora noi non possiamo dimenticare quei morti ed abbiamo il dovere di restituire loro onore e rispetto. Due parole semplici che pure oggi sembrano appartenere a tempi tanto lontani. Cosa ci direbbero questi nostri morti se potessero parlarci? Io credo che essi ci direbbero: “Non abbiate mai paura di fare il vostro dovere, perché noi non l’abbiamo avuta ed è stato meglio morire in piedi che vivere una vita in ginocchio”. Il periodo delle Br sembra lontano ma non è così. Chi ha perso una persona cara non può dimenticare. Un figlio appena nato non può dimenticare quella tenerezza di un padre che non ha avuto. Come si può dimenticare la morte di un marito? Di un padre? Di un figlio o di un fratello?

Ma anche lo Stato non può e non deve dimenticare. Io sento come una profonda ingiustizia quella di far parlare in pubblico ex terroristi pentiti o apparentemente tali. Addirittura terroristi “perdonati” e riammessi nella società civile, anche in posti di responsabilità: quella società civile che essi hanno odiato e che hanno cercato di scardinare con la violenza. Stiamo vivendo un periodo difficile per l’Italia. Un periodo di irresponsabilità in cui la politica è in mano alla non politica. Questi nostri eroi non verranno dimenticati se terremo alti i valori per i quali sono vissuti e per i quali hanno scelto di morire. Mi irrita il sentir dire: “Poveretto, è stato sfortunato!”. Il loro non è stato un incidente, ma la conseguenza per aver fatto fino in fondo il proprio dovere, fino all’estremo sacrificio della vita.

Sono passati 40 anni dalla strage di Via Fani. Cinque eroi, poliziotti e carabinieri hanno immolato la vita per proteggere il presidente della Democrazia Cristiana Aldo Moro: eroi del quotidiano. Erano ragazzi semplici, padri affettuosi, mariti presenti, figli e fratelli adorati. Carabinieri e poliziotti con un forte senso di responsabilità nei confronti del servizio e dello Stato, uccisi mentre compivano il loro dovere.

Domenico Ricci era un appuntato dei carabinieri e aveva 42 anni; Giulio Rivera era un agente di polizia di 25 anni, Francesco Zizzi, era un vice-brigadiere di polizia e aveva 30 anni; Raffaele Iozzino era un agente di polizia di 25 anni; Oreste Leopardi era un maresciallo dei carabinieri di 52 anni. Per le loro famiglie, dopo 40 anni di silenzio, di dolore e di ricordi, la ferita è ancora aperta non solo perchè hanno perso i loro cari, non solo perchè il tempo non può cancellare il dolore, ma perchè mentre ai loro cari è stata tolta con la vita la parola, la si è concessa ad assassini che sono tuttora liberi di seminare la propria non verità anche nelle aule universitarie.

Il perdono cristiano è consapevolezza e riparazione . Che lo Stato ricordi i propri eroi e tolga finalmente il diritto di parola a chi non ha avuto alcun rispetto dell’altro. Abele è morto. Caino viva, ma che sia costretto a vagare nel deserto riflettendo sul proprio errore. “Dov’è tuo fratello?!”. Perché altrimenti Abele verrà ucciso due volte.