Il buio della morte e la luce della Fede

Che l’incontro con la Nera Signora sia ineluttabile, lo sanno tutti.

Veniamo al mondo innocenti e spauriti, ignari di quello che ci aspetta, ma fin dalla primissima infanzia il concetto di ‘morte’ ci viene presentato.

Ai più fortunati, forse, viene edulcorato da familiari indulgenti. La morte del cane di casa viene mascherata da provvidenziale fuga, il nonno, semplicemente, ‘non c’è più’. Prima o poi, però, quelle assenze ci rendono sospettosi, iniziamo a fare domande, questi personaggi che fino a ieri popolavano il nostro mondo di bambini sono ormai irraggiungibili. Il silenzio risponde al nostro fischio se chiamiamo il cane, il telefono del nonno squilla a vuoto. Si insinua in noi la consapevolezza che è successo qualcosa di irreparabile, che quando qualcuno ‘muore’, quel qualcuno sarà perso per sempre.

Crescendo, tuttavia, pur sapendo che l’incontro fatale riguarderà anche noi, ad un dato momento, veniamo fagocitati dal turbine della quotidianità. La Vita, ben più temporanea ma infinitamente più benevola, ci avvolge nel suo seducente abbraccio fatto di lavoro, amore, realizzazione personale, amicizia, tasse da pagare e alberghi da prenotare, voli da prendere e capi da odiare, compiti da portare a termine e libri da leggere. Ed ecco che la Morte si allontana, perde importanza, si ritira sullo sfondo.

Siamo vagamente consapevoli della sua esistenza, quanto si può esserlo di una vecchia prozia insopportabile a cui riusciamo a sottrarci tutto l’anno, ma che ci incastra inevitabilmente in una sgradevole conversazione alla cena di Natale.

Va da sé che, per alcune categorie umane, il rapporto con la Nera Signora è un po’ più stretto. C’è chi, per professione, deve combatterla, affrontarla, frapporsi tra lei e il resto dell’umanità. In generale, comunque, possiamo avanzare nella vita con la speranza che non sia il nostro turno di incontrarla. Le sue incursioni nella nostra quotidianità ci giungono trasversalmente dalla voce sciropposa di un commentatore della cronaca nera, talvolta sentiamo il suo respiro gelido nell’orecchio quando viene a prendersi un nostro caro. Ma poi, la sua figura sbiadisce nelle nebbie turbinanti della Vita. E possiamo nuovamente scordarci di lei.

Non mi ero mai resa conto di quanto ignorare la temporaneità della nostra esperienza terrena fosse un privilegio da non dare per scontato, finché, un anno fa, l’anziana prozia ha deciso di affrancarsi dal suo esilio e sedersi prepotentemente alle nostre tavole, accompagnarci alla fermata dell’autobus, nascondersi sulle labbra della persona che amiamo, o nella manina innocente del nostro bambino appena uscito dall’asilo.

Per mezzo di qualcosa di così invisibile, come un virus, la Morte si è imposta come la protagonista assoluta della nostra realtà, sbaragliando la sua luminosa sorella e costringendoci a guardarla negli occhi ogni giorno. Ogni ora. Ogni istante.

Ogni via di fuga dal suo sguardo beffardo è tagliata, ogni nascondiglio impraticabile. Non esiste più la distrazione dell’aperitivo, distrutti i problemi routinari e tanto rassicuranti dell’ufficio, impossibile un viaggetto e men che meno l’abbraccio consolatorio di un amico. Lei ci segue, ci spia, ammicca dal telegiornale e passeggia indisturbata per le strade, diffondendo attorno a sé un clima di terrore.

La Vita, ridotta temporaneamente ad una serie di azioni meccaniche nei recinti claustrofobici che sono diventate le nostre un tempo amate case, continua a scorrere imperturbabile. E, se non sarà il virus ad abbatterci, sarà il pensiero del tempo perso, delle occasioni sprecate, del colloquio di lavoro mancato, del ragazzo meraviglioso che non abbiamo incontrato, del treno che non abbiamo preso.

Per un anno intero ormai abbiamo camminato con la Morte. L’abbiamo guardata con raccapriccio, l’abbiamo odiata e la odiamo tuttora, ma con quella intorpidita rassegnazione che accompagna l’abitudine.

È davvero tutto perduto? Davvero il nostro futuro si prospetta come una inesorabile camminata verso un inevitabile patibolo?

No, c’è ancora qualcosa che può salvarci. La Fede. Fede in un assoluto benevolo, ma anche fede nei propri mezzi, nelle proprie passioni, nell’amore per le piccole cose. Lo spettro della paura può toglierci temporaneamente le manifestazioni concrete, ma se il nostro attaccamento alla Vita è più grande, più profondo, più ardente di qualsiasi sconforto, può illuminare anche la notte più buia.

Nessuno ci restituirà coloro che ci sono stati tolti, e di certo non potremo recuperare gli anni persi. Possiamo però con rinnovato vigore e fede salda costruire sulle fondamenta di questo anno disgraziato, raccogliere le macerie della perdita e con esse edificare una barricata contro il dolore. Far capire alla Morte, come tanti prima di noi, che nelle nostre vite il suo non è un ruolo da protagonista. Ma da comparsa.