Quello che Bruxelles si aspetta dall’Italia sul Recovery Plan

Il principale tema che il futuro governo dovrà affrontare è sicuramente quello della presentazione alla Commissione Europea del Recovery Plan, il progetto organico di rilancio del Paese post crisi, che dovrebbe essere finanziato dai fondi stanziati con il programma Next Generation EU.

Di questo se ne parla, ormai da mesi, con il premier dimissionario Conte che indicava come grande successo dell’Italia e del suo governo l’aver ottenuto quasi 210 miliardi di euro, di cui 80 circa a fondo perduto, per sostenere la ripresa e che aveva presentato un piano di 52 progetti che si dividevano, principalmente, tra i capitoli legati alle infrastrutture, la digitalizzazione del paese, cultura e turismo, energia e transizione ecologia, parità di genere, istruzione e sanità.

Poi vennero le contestazioni, da una parte della maggioranza, sia sui progetti, in generale, sia sull’ipotesi di gestione dei fondi che l’ex Premier avrebbe voluto affidare a una “task force” di esperti, come già aveva fatto con la discutibile gestione dell’emergenza pandemica con un commissario ad hoc, esautorando, di fatto, sia la compagine di governo sia il Parlamento dalla questione.

Cosa sia accaduto dopo è storia recente, con l’apertura della crisi che si risolse con una rinnovata fiducia in senato “sul filo di lana” e con le dimissioni di Giuseppe Conte dopo aver appurato che difficilmente il suo esecutivo avrebbe avuto i numeri per andare avanti.

E il Recovery Plan?

Giusto in questi giorni è arrivata la bocciatura su tutta la linea, sia da parte di Banca d’Italia sia da parte della Corte dei Conti unite all’Ufficio Parlamentare di Bilancio e all’Osservatorio sui conti pubblici diretto da Carlo Cottarelli.

Il parere negativo è dovuto soprattutto alla frammentazione dei progetti, dalla mancanza di un preciso prospetto dell’impatto degli interventi sui conti pubblici, visto che solo una parte dei finanziamenti provenienti dal programma NGEU sono a fondo perso e il resto è nuovo debito, e il fatto che non sia stato specificato in maniera precisa l’uso dei fondi.

L’Europarlamento, intanto, ha approvato in via definitiva il cuore di NGEU dando via alle procedure per l’assegnazione dei fondi che dovranno essere indirizzati verso dei precisi capitoli di intervento così come indicati nel regolamento che sono a) transizione verde; b) trasformazione digitale; c) crescita intelligente, sostenibile e inclusiva; d) coesione sociale e territoriale; e) salute e resilienza economica, sociale e istituzionale; f) politiche per la prossima generazione, l’infanzia e i giovani, come l’istruzione e le competenze.

Ovvio che il tutto sia inserito in quadro che abbia come obiettivo la ripresa del continente e l’impegno, da parte degli Stati membri, a mantenere i conti pubblici in ordine e adempiere al programma di aggiustamento macroeconomico.

Questo significa che l’allentamento dei parametri di stabilità della finanza pubblica è un mezzo per riagguantare la crescita e fronteggiare la crisi innescata dalla pandemia ancora in atto e non la possibilità di spendere come se non ci fosse un domani per qualsivoglia ragione.

Così il regolamento indica che una volta approvati i piani di ripresa nazionali gli stati avranno diritto a ricevere un prefinanziamento pari al 13% dell’importo a loro riservato ma che, nel limite del 6,8% del reddito nazionale lordo, calcolato nel 2019, avranno tempo per richiedere nuovi prestiti fino al 31 dicembre 2023.

Questi fondi non saranno erogati subito, però, ma a rate, subordinate agli obiettivi e ai traguardi da raggiungere, come se fossero un SAL (Stato Avanzamento Lavori) erogato da una banca a un costruttore.

Queste sono le ragioni per cui un piano ben strutturato e preciso risulta indispensabile e deve illustrare una linea temporale coerente di riforme e di investimenti da effettuarsi nel lasso di tempo considerato, cioè entro il 31 agosto 2026, così come indicato nel comma 3 dell’articolo 17 dove si dice esplicitamente che «i piani per la ripresa e la resilienza sono coerenti con le pertinenti sfide e priorità specifiche per Paese individuate nell’ambito del semestre europeo, nonché con le sfide e le priorità individuate nell’ultima raccomandazione del Consiglio sulla politica economica della zona euro per gli Stati membri la cui moneta è l’euro. I piani per la ripresa e la resilienza sono inoltre coerenti con le informazioni incluse dagli Stati membri nei programmi nazionali di riforma nell’ambito del semestre europeo, nei piani nazionali per l’energia e il clima, e nei relativi aggiornamenti».

È evidente che, stante le obiezioni delle Authority alla bozza presentata dal governo Conte, il piano approntato potrebbe essere se non rigettato almeno molto ridimensionato dall’esame della Commissione mettendo in forse buona parte dell’ammontare delle somme già stanziate per l’Italia.

Sia chiaro, infatti, che i quasi 210mld che dovrebbero essere riservati all’Italia non sono merito di questo o di quello, a livello politico, ma sono i fondi che la Commissione ha riservato per il rilancio di un’area estremamente colpita dal virus e che ha avuto gravissime conseguenze sul sistema economico derivanti dalle misure di contenimento dell’epidemia.

Non è un mistero che l’economia italiana sia in affanno da anni e la gestione della crisi sanitaria avrebbe potuto essere un colpo fatale alla tenuta sia dei conti dello stato sia del tessuto produttivo del Paese.

Con il Recovery Fund o, meglio, il programma Next Generation EU si conta di poter ridare “fuoco alle polveri” per rilanciare quella che, nonostante tutto, resta l’ottava economia mondiale.

Ora, il compito del prossimo governo sarà quello di riscrivere il piano, presentarlo e, una volta ottenuti i fondi, indirizzare gli investimenti per ricostruire un sistema economico provato sia dalle inefficienze della macchina pubblica, sia dalla lunga crisi economica aggravata, alla fine, dal cigno nero rappresentato dalla diffusione in tutto il mondo dell’infezione conosciuta come Covid-19.

La figura di Mario Draghi, sempre che accetti l’incarico e ottenga la fiducia da parte delle Camere, è forse quella più autorevole per guidare l’Italia in questa impresa.

Autorevolezza e credibilità internazionale sono i due punti focali nel momento in cui si debba portare a terra un programma di riforme e investimenti, perché queste due categorie non possono essere scisse, volte a rilanciare uno stato intero.

Ancora non si conosce il programma dell’ex Governatore della BCE ma le linee guida sono state anticipate più di una volta e si snodano intorno ai punti richiesti dalla Commissione per l’approvazione del Recovery Plan e tre punti focali di riforma del sistema Italia: riforma delle PPAA per lo sfoltimento burocratico, riforma della giustizia civile per dare una certezza del diritto soprattutto in ambito contrattuale e riforma fiscale, volta in primis alla semplificazione degli adempimenti e delle dichiarazioni, immagino.

Sono, ovviamente, tre imprese titaniche che, difficilmente, potranno essere terminate nel possibile mandato di un ventilato governo Draghi ma che, almeno, dovrebbero essere indirizzate e inizializzate per dare un segnale importante nelle aspettative dei vari operatori sul mercato, dalle famiglie alle imprese.

Non è possibile, infatti, pensare di continuare a pensare alla politica economica come spesa corrente, bonus e sussidi, va creato un vero piano di investimenti che possa creare valore e dare il “la” anche agli investitori nazionali ed esteri per rilanciare la creazione di ricchezza e di reddito, tramite lavoro e produttività.

Questa è la sfida che è sottintesa al programma di finanziamenti europei, non solo verso l’Italia ma verso tutta l’Euroarea che deve ricominciare a produrre e a crescere e, di conseguenza, a diffondere il benessere e aspettative positive sul futuro che sono prodromiche a un vero ciclo virtuoso che possa spingere una crescita continua.

Le domande, a questo punto, sono inizialmente se il governo Draghi vedrà la luce e, nel caso, se la sua azione avrà successo… e non sono punti di poco conto.