Blue Whale, il fallimento della cultura

La domanda è “perché?”. E la risposta è fuori dalla mia portata. E, a quanto pare, anche da quella di tutti gli altri. Per ora, almeno. Parlo di “Blue Whale”: la Balena Blu. Un fenomeno, apparentemente inspiegabile, che, quest’anno, ha causato la morte di più di 150 ragazzi nella sola Russia, il paese nel quale è nato.

Cos’è? Un tragico gioco, che – attraverso un estenuante rituale di prove da superare, ricatti e minacce – conduce i giovanissimi al suicidio. Pare l’abbia inventato uno studente di Psicologia. Un ventunenne che istiga i suoi connazionali adolescenti a togliersi la vita per “purificare la società’” La modalità sarà anche nuova, ma motivazioni, tecniche ed esiti sono vecchi come il mondo. Non punterò, dunque, il dito contro Internet e i Social. È un esercizio facile, inutile e persino stucchevole ormai. La morte ha sempre affascinato certe coscienze. Da molto prima che nascessero i computer. Da prima ancora delle tavolette d’argilla. Il “cupio dissolvi” – inteso come “rifiuto dell’esistenza” e “volontà masochistica di autodistruzione” – è nato con l’uomo. Vita e morte si combattono da sempre dentro di noi. E lo faranno sempre. Non sono Internet e i social, dunque, a metterci in testa queste idee. Anche perché siamo noi a dare le idee alla Rete, non viceversa. Internet e social, semmai, hanno moltiplicato in maniera inimmaginabile diffusione, velocità e numero delle follie. Ma le follie sono nostre. La morte ci attrae. Evidentemente più della vita, in certi casi.

Viviamo tra due magneti: un polo positivo – la vita e la sua bellezza; un polo negativo – la morte e il suo devastante potere di distruzione. Se ci sentiamo irrimediabilmente attratti dalla seconda, vuol dire che la prima non è capace di tirarci dalla sua parte. La Natura ha fallito. Siamo insensibili al suo fascino. Ma, soprattutto, ha fallito la cultura. Che non è riuscita a offrirci ragioni sufficienti per rifiutare la morte. Ha fallito Dio, con la sua promessa d’Eternità. Siamo sicuri, però, che sia morto Lui e non l’uomo? Hanno fallito Omero, Dante e Shakespeare; hanno fallito Bach, Mozart e i Beatles; hanno fallito Giotto, Leonardo e Michelangelo; Galilei e Newton, Erasmo e Tommaso Moro. Hanno fallito famiglia, amici, scuola. Hanno fallito gli altri. Tutti gli altri. Cioè noi, che non abbiamo voluto o saputo vedere, ascoltare, comprendere, sostenere, incoraggiare, motivare. In una parola: esserci.

La Moby Dick del nichilismo e dell’autodistruzione ha ingoiato la bellezza del mondo, trascinandola con sé in fondo all’abisso. E noi – abbandonati in questo deserto sordo, cieco, muto e insensibile – non abbiamo potuto fare altro che tuffarci per raggiungerla. Le mille spighe ancora verdi falciate dalla lama di un mostro senza fedi, morali e valori sono sulla coscienza di chi ha strappato il futuro dagli occhi dei giovani, gettandoli in una “disperanza” che non lascia scampo. La coscienza, assente e colpevole, di un’intera generazione di pessimi maestri, che ha costretto quanti le erano stati affidati a scegliere tra nessuna vita e una morte che sa indossare le maschere più seducenti, spingendoli a seguire la Balena Blu nei suoi abissi, nell’illusione di riuscire a liberarsi dei propri.