Bayer-Monsanto, una fusione che non piace all’Europa

È una notizia quella che l’Unione europea abbia bloccato la fusione fra Bayer e Monsanto, due celebri aziende che, spesso, rientrano nei miti moderni sui complotti mondiali. Secondo l’antitrust europeo l’operazione darebbe vita alla più grande società di produzione di pesticidi e sementi creando un disequilibrio sui mercati dovuto alla concentrazione di quote di mercato, per questo il processo di fusione è stato, di fatto, sospeso in attesa che la Commissione si pronunci entro l’8 gennaio prossimo.

Sicuramente la cosa farà tirare un sospiro di sollievo a chi ha sempre dipinto la Monsanto come un moloch dedito alla creazione del “cibo Frankenstein” poiché l’azienda americana è leader nello studio e nella creazione di sementi OGM che, come sottolineato spesso dai portavoce della multinazionale, andrebbero a ridurre l’uso dei pesticidi e a migliorare la produttività alimentare a parità di risorse naturali impiegate ma che, secondo la vulgata contraria, rischiano di essere assai nocive per il territorio e per gli esseri umani pur in assenza di qualsivoglia evidenza scientifica. La cosa singolare, però, è che la Commissione UE, nei mesi scorsi, abbia già dato pareri positivi ad operazioni analoghe tra altri big del mercato come Dupont e Dow Chemicals o ChemChina (che già controlla Pirelli in Italia, ad esempio) e Syngenta che andrebbero a formare due poli, chimico puro, il primo, e chimico agricolo, il secondo, di cui l’M&A (merger and acquisition, ovvero fusione e acquisizione) tra Bayer e Monsanto doveva essere la controparte creando un terzo player di dimensioni assai significative.

Se si guardassero i dati di bilancio delle sei aziende qui nominate si vedrebbe chiaramente che non ci sarebbe sproporzione nella creazione del polo chimico-agricolo Bayer Monsanto rispetto agli altri due colossi in corso di formazione; questo, infatti, potrebbe contare su un fatturato globale di 60 miliardi di dollari circa con utili per meno di 6 miliardi (proiezione su dati 2016) contro un Dupont-Dow Chemical con 72 miliardi di fatturato e quasi 7 di utile e un ChemChina-Syngenta con 54 miliardi di fatturato e 3 miliardi di utile. La differenza, in caso, secondo l’antitrust europeo sarebbe che mentre Dupont-Dow Chemical diverrebbe leader di mercato nella produzione di pesticidi, Bayer Monsanto sarebbe l’unica vera multinazionale integrata dal lato della produzione di sementi e pesticidi.

No, non si dimentica il caso ChemChina-Syngenta, cosa che, però, sembra abbiano fatto le autorità europee perché questa è già di fatto un’azienda integrata di produzione chimico-agricola. ChemChina, infatti, già possiede il 100% di Adama, un’azienda israeliana leader nella produzione di pesticidi, fungicidi e trattamenti per sementi, a cui l’eventuale fusione tra la multinazionale chimico-farmaceutica tedesca e quella biotech americana sarebbe andata a porsi come principale competitor evitando di lasciare, in caso di bocciatura definitiva dell’affare, all’azienda cinese una posizione di primato sui mercati.

Che il processo di integrazione delle due società oggetto dello stop fosse sottoposto a una valutazione da parte degli organismi antitrust non è certo strano, anzi, si potrebbe dire che questo sia un atto dovuto ma rimane un po’ spiazzante sia sui tempi sia per il clamore che la vicenda sta suscitando.

Più che una questione di mercato, visto che non si verificherebbe una concentrazione sufficiente per parlare di distorsione alla concorrenza, piuttosto si creerebbe un competitor a una realtà già esistente, sembrerebbe una questione politica.

Bayer è l’azienda che commercializza l’aspirina e molti farmaci di uso comune, come il Lasonil, ma anche la creatrice dell’eroina e dell’iprite, cosa che ha contribuito a guastarne la reputazione. Ma è possibile che il vero punto focale della faccenda sia la Monsanto. Benché sia un’azienda attiva fin dall’inizio del XX secolo, quando fu uno dei fornitori chiave di ingredienti di un’altra azienda americana che diventerà un simbolo mondiale cioè Coca Cola, è divenuta famosa negli ultimi anni per la sua attività di produttore di sementi transgeniche e, dopo l’acquisizione di Seminis inc., di sementi convenzionali.

Per queste ragioni la multinazionale di St. Louis è spesso accusata di ogni nefandezza da parte di ecologisti e di complottisti attribuendole colpe non sue (o almeno non completamente sue) e comportamenti volti al controllo globale dell’agricoltura, cosa che non risulta nemmeno dai bilanci che, però, non vengono mai considerati, come nel caso della querelle sui vaccini e del piano di “BigPharma”.

Non è escluso che l’inchiesta aperta dalla Commissione Europea nasca da questo humus che ha sempre più un certo appiglio mediatico ed è supportato sia da certe formazioni ecologiste e populiste che cercano facile consenso nella popolazione, spesso preoccupata da qualunque innovazione in campo biotech e chimico. Che potrebbe però portare ad esiti dannosi per il mercato dando via libera a chi già opera sui mercati globali, alimentando quei timori di manipolazione dei prezzi e di riduzione della possibilità di scelta da parte di agricoltori e consumatori operata da un altro soggetto, ChemChina che, tra l’altro, è un’azienda interamente controllata da uno stato estero, molto di più che non la fusione tra Bayer e Monsanto che tanta preoccupazione suscita nei vertici politici dell’UE.