Banche: la minaccia nascosta

Il credito è un settore fondante di ogni sistema economico, non può esistere, infatti, un’economia moderna senza che il settore bancario non sia efficiente e ben strutturato. Con buona pace di chi sospetta che le banche siano a capo di una “cospirazione” che punti al controllo del globo, il ruolo delle stesse è sempre più centrale nello sviluppo delle attività produttive e commerciali, sia per l’erogazione del credito a sostegno degli investimenti, sia nella gestione degli strumenti di pagamento e nella garanzia degli stessi, sia nella gestione del risparmio delle persone private.

Questa centralità del settore creditizio, ovviamente, si deve accompagnare a una vera e propria solidità patrimoniale degli istituti che lo compongono per evitare che tutta l’economia di uno Stato ne risenta, come avevano mostrato le crisi bancarie in Spagna o in Irlanda, o, addirittura, che l’architettura finanziaria del mondo intero possa subire severe ripercussioni, come fu dopo il fallimento di Lehmann Brothers.

In Europa il ruolo di controllore della stabilità del settore è affidato, per gli istituti maggiori, alla Bce come abbiamo imparato negli ultimi mesi quando un termine, quasi sconosciuto ai più è diventato di uso comune, si parla dei Non Performing Loans o Npl, in sigla, i crediti in sofferenza cioè.

Le Asset Quality Review (Aqr) condotte negli scorsi mesi, infatti, hanno evidenziato una certa debolezza del sistema bancario italiano legata all’alta incidenza degli Npl in bilancio, cosa che si riflette su quel parametro, anch’esso divenuto celebre, rappresentato da Texas Ratio che, ormai, è il metro di giudizio più diffuso per valutare la solidità patrimoniale di una banca.

È chiaro che il fattore Npl sia centrale così come la presenza di questi crediti quasi totalmente inesigibili rappresenti una spada di Damocle sulla testa di ogni istituto, sia nella determinazione della leva da applicare nella concessione del credito, sia nell’analisi del merito di ogni cliente per ottenere l’apertura di una linea di affidamento. Ma la storia insegna che non sia questo l’unico punto critico nel monitoraggio degli attivi bancari anche se sembrerebbe che i commissari della Bce abbiano concentrato la loro attenzione solo su quello, senza “pesare” in maniera corretta altri fattori di rischio che in casi, anche eclatanti come quello già citato di Lehmann, hanno portato non solo al default di una banca ma ad una crisi sistemica.

Parlo di quello che, in gergo, sono chiamate le posizioni di livello 3, quella parte di attivi che rappresenta gli investimenti in strumenti finanziari come i contratti derivati. I commissari Bce, infatti, non hanno nemmeno provato a “prezzare” le posizioni aperte anche per via della difficoltà dell’operazione prima della chiusura dei contratti che, a tutti gli effetti, possono rappresentare dei fattori di rischio notevole.

Non si tratta di demonizzare i “derivati”, però, poiché questi hanno un’importanza fondamentale nella gestione dei mercati finanziari, sia per la valutazione delle aspettative degli operatori sia per le operazioni di hedging, di copertura degli investimenti cioè (e.g. gli swap sui tassi di interesse o sui cambi o i Cds, i Credit Default Swap che garantiscono gli investimenti obbligazionari) ma l’attenzione verso l’uso speculativo di questi strumenti dovrebbe essere rafforzata vista la possibilità che di operare “a leva” che consentono agli investitori.

Le valutazioni dei titoli “level 3”, infatti, non sono facilmente quantificabili per la loro assoluta volatilità, dipendono, infatti, da un modello matematico e non dal mercato, questo diversamente dalle posizioni creditizie che, per quanto complesse, rispondono a logiche e criteri comuni che possono essere valutate con tempistiche certe. Le Aqr svolte dalla Bce, quindi, pur considerando le esposizioni finanziarie in strumenti derivati, anche per “accontentare” le istanze dei Paesi dove l’esposizione creditizia rappresenta il vero core business degli istituti bancari è stata, volutamente, assai superficiale nell’analisi dei portafogli finanziari laddove si riscontrasse il rischio maggiore per altri colossi bancari.

Non è un caso che diverse testate parlino di rischi sulla solidità patrimoniale nascosti nei bilanci di alcune banche considerate sistemiche ben più elevati rispetto a quelli rappresentati dagli Npl degli istituti italiani che potrebbero mettere a rischio non solo la tenuta di questi istituti ma, addirittura, l’equilibrio finanziario dell’intero mercato mondiale.

Va sottolineato ancora, però, che la situazione relativa alle sofferenze italiane è, sicuramente, preoccupante perché gli attivi delle banche rappresentano non solo la fonte dei loro introiti ma la garanzia per tutti i depositi della clientela e se questi fossero compromessi dal peso di crediti inesigibili, di conseguenza, anche la garanzia sui risparmi diventerebbe assai problematica ma non si può negare che la mole di “spazzatura” finanziaria che ha gonfiato i bilanci (e gli utili, volendo essere sinceri) di alcuni player assai importanti possano dipingere un rischio sistemico ben maggiore.

La crisi “principe” del settore in Italia, quella di Mps, non deriva dai crediti elargiti con facilità a soggetti non meritevoli, che ci sono e rappresentano un altro fattore critico nella tenuta di Rocca Salimbeni, ma che, in ogni caso, potrebbero aver avuto un peggioramento della situazione finanziaria seguente all’apertura delle linee di credito e, quindi, non con una responsabilità diretta della banca; la vera origine del dissesto proviene, infetti, da due “sciagurate” operazioni finanziarie volte alla copertura dei costi sostenuti per l’acquisto di Banca Antonveneta. Questo dimostra come l’esposizione in portafoglio a questa tipologia di titoli sia assai rischiosa e come tale va valutata all’interno di una seria Aqr da parte degli organi di controllo.

Non essendo di facile valutazione, come si diceva poc’anzi, è evidente che bisognerebbe approntare un sistema di “pesature” per inserire delle riserve ad hoc in bilancio, a garanzia del patrimonio, parametrate alla percentuale di titoli inserita in portafoglio ma, come si può capire, la cosa impatterebbe in maniera assai significativa su alcuni soggetti e, politicamente parlando, non sarebbe una decisione semplice da prendere o da far accettare.