Al Pd serve un leader… Fico

Matteo Renzi, di nuovo lanciato verso il congresso come un treno in corsa, va sostenendo in ogni dove la sua indisponibilità a candidarsi per la segreteria. Non solo. A Milano, per esempio, una piazza strategica del punto di vista del dibattito interno, l’ex inquilino di Palazzo Chigi ha affermato di non essere interessato a chi vincerà il congresso, mente lo appassiona l’idea del vincitore salvo dal fuoco amico  “Chi perde non deve segare il tronco su cui è seduto. Spero qualcuno si renda conto che ha fatto la guerra al Matteo sbagliato”, ha scandito con forza dal palco della Darsena del capoluogo lombardo.

Il messaggio è particolarmente importante perché il Pd potrebbe avere già in tasca la soluzione. Nelle piazze forti delle feste de L’Unità che contano ancora, l’uomo che più di tutti ha scaldato la platea è stato il presidente della Camera, Roberto Fico. Il suo grillismo mal si addice alla tendenza giallo verde perseguita con forza da Luigi Di Maio e su molte posizioni l’attuale terza carica dello Stato ha superato il suo predecessore, la pasionaria Laura Boldrini. E questo non è affatto un dettaglio trascurabile, ma rischia di essere il punto di partenza di una convergenza destinata a trovare una saldatura. Del resto ormai siamo di fronte alle divergenze strutturali dei leader pentastellati, ognuno irresistibilmente attratto dalla sfera d’influenza del proprio mondo di riferimento.

Di Maio che gioca di sponda con Salvini è un leghista in pectore, mentre Di Battista mira ad occupare lo spazio rimasto libero a sinistra della sinistra. Per Fico il feeling con il Pd è un fatto naturale, un elemento  già codificato che deve solo trovare il giusto svolgimento. Del resto il rapporto con la cosiddetta base ha già le caratteristiche del fidanzamento. Insomma, altro che Zingaretti contro Renzi, per i simpatizzanti del Pd Fico  sarebbe l’uomo giusto per risollevare le sorti del partito.

A Ravenna, qualche giorno fa, è stato accolto molto calorosamente alla Festa del Pd. Appena entrato, ha fatto un giro tra gli stand, prendendo un caffè e firmando il libro degli ospiti del bar al centro della kermesse, abbracciando alcuni volontari e ricevendo un’ottima accoglienza. Ha visitato anche lo stand dei deputati Pd, che ha al centro il tema dei migranti. “Sono contento se i militanti, i partecipanti del Pd sono felici di avere il presidente della Camera qui e poter parlarci perché sono anche il presidente loro e di tutti gli italiani”, ha dichiarato Fico che nel corso di un dibattito con il capogruppo alla Camera dem, Graziano Delrio,  ha sottolineato che i profughi dovevano “scendere tutti dalla Diciotti fin dal primo giorno e io sono intervenuto perché accadesse”.

Un'altra presa di distanza dal vicepremier Salvini che gli ha procurato altri applausi. Per Fico, presidente della Camera “attivista” stile Boldrini, questa deriva piddina è anche un modo per uscire dal cono d’ombra nel quale hanno provato a relegarlo i vertici del Movimento. Tanto da far pensare ad una sorta di nemesi storica. Non a caso da Luigi Di Maio lo divide la non condivisione della Realpolitik governativa, richiamandosi sempre allo spirito originario del M5s. Che non c’è più. “Conosco il mio movimento e so bene che nel contratto di governo ci si muove, ma troppo al di là non si potrà più muovere. Sull’immigrazione noi avevamo votato una mozione nel Parlamento italiano dove ci sono tre punti. E quei tre punti, in linea di massima, si seguiranno”, ha spiegato a Ravenna.

Queste schermaglie gli consentono di procurarsi visibilità ma anche di far aumentare le difficoltà nei rapporti con la Casaleggio. Non è casuale che, a proposito del giudizio pendente sul Carroccio in materia di rimborsi elettorali, abbia detto che “la Lega dovrà rispettare la sentenza come tutti i partiti e tutti i cittadini italiani”. A suo modo il successo di Fico è un campanello d'allarme per tutta la sinistra che sta cercando di riprendersi dalle recenti batoste elettorali. I militanti e i simpatizzanti hanno mostrato una chiara preferenza per un personaggio slegato dalla solita nomenklatura e addirittura esponente di un partito “concorrente”. Un segno dei tempi che cambiano e delle vecchi ancoraggi che vengono sostituiti dai nuovi.