Addio al voto

Quando la discussione, anche accorata, devia dall’argomento principale, a Roma si dice “buttarla in caciara”. In politica succede spesso, specie sulle questioni più strategiche, quando è meglio nascondere l’obbiettivo finale. Come per la riforma del Senato. Se prendiamo l’articolo 2, il comma 5, le crisi d’identità nella maggioranza, i cambi di casacca dei parlamentari, voti, veti, patti segreti e spremiamo il tutto, il succo è che gli italiani potranno votare soltanto per finta. Se passa anche questa riforma, non saranno più i cittadini a scegliere i loro rappresentanti: ci penserà il Palazzo a rinnovare se stesso. E tra una “supercazzola” e l’altra sul Bundesrat tedesco, nessuno ci ha ancora spiegato perché il voto libero degli italiani fa così tanta paura.

L’unica cosa buona è la riduzione dei senatori da 315 a 100 (74 nominati tra i consiglieri regionali, 21 tra i sindaci e 5 senatori a vita) che porta comunque un risparmio assai esiguo. Ma non si capisce perchè il Senato debba diventare un’armata Brancaleone in gran parte nominata in mezzo alla classe dirigente più inquisita del Paese (quella regionale), tra rimborsopoli, tangentopoli varie e inchieste sulle liste presentate con firme false. Per di più a rappresentare le regioni c’è già un organo competente, la Conferenza Stato-Regioni. Insomma, un doppione.

L’esproprio del potere di voto dei cittadini era cominciato nel 2005, col sistema elettorale denominato Porcellum. Nessun riferimento all’aspetto del suo ideatore Calderoli, ma al commento dello stesso senatore leghista sulla sua creatura appena nata: “una porcata”. Sistema raso al suolo dalla Corte Costituzionale solo dopo nove anni di danni, nel 2014, per il premio di maggioranza abnorme e per l’impossibilità di esprimere una preferenza che fosse una.

Poi, quando gli elettori speravano di tornare a contare qualcosa (anche perché così gli era stato promesso proprio da Renzi almeno in un paio di Leopolde) è arrivato l’Italicum, con un premio di maggioranza anche più sproporzionato del Porcellum, ad un solo partito. E il “trucchetto” dei capilista bloccati che permette al vincitore di avere due terzi dei deputati nominati e solo un terzo scelti con la preferenza. Mentre tutti gli altri partiti porteranno alla Camera solo i capilista bloccati. Come se non bastasse, ai poveri elettori italiani adesso stanno per togliere anche la scheda del Senato. Un grande assist al primo partito del Paese, l’unico in crescita costante, sopra il 40%: quello dell’astensione. Se avessero abolito per legge il diritto di voto sarebbero stati almeno più sinceri. Il sogno recondito della Loggia P2.

Il cosiddetto bicameralismo perfetto, due camere con le stesse funzioni e il doppio passaggio per ogni legge, può non piacere, ma è una delle garanzie studiate dai nostri padri costituenti per controllare ed equilibrare il potere dei governi. Per non ricadere mai più sotto dittatura. Perchè guarda caso, durante il fascismo la Camera dei Fasci e delle Corporazioni non era eletta ma nominata da tre Consigli presieduti dal Duce. E al Senato del Regno si accedeva con nomina del Re, ma solo su imput del governo.

Comunque il bicameralismo non c’entra niente con la lentezza del Parlamento. La colpa è della litigiosità dei partiti, sempre più spesso spaccati anche al loro interno, fino alla scissione dell’atomo. Ma oggi l’imperativo è correre. Si va di fretta. A costo di fare la riforma della Costituzione “sotto ricatto”, con due voti di scarto, magari comprati al mercato delle vacche. Perchè nella nuova liturgia dell’efficienza bisogna fare. Di corsa. A prescindere dal come. Una gatta frettolosa che fa i figli ciechi.