A chi giova destabilizzare l’Iran

Le proteste in Iran si protraggono ormai da giorni in modo incessante lasciando sul terreno alcune decine di morti e un considerevole numero di feriti, oltre agli innumerevoli arresti che hanno colpito i manifestanti.

Tali mobilitazioni, che hanno avuto inizio a Mashad, Rasht, Kermanshah – considerate delle roccaforti dell’ex presidente Ahmadinejad – e successivamente propagatesi nel resto del Paese, sono ascrivibili ad una serie di concause molto diverse tra loro ma che, senz’altro, affondano le proprie radici nella crisi economica.

Se, infatti, il detonatore è stato fatto esplodere dai conservatori di Ahmadinejad per protestare contro le politiche dell’attuale presidente Rohani, ad essi hanno fatto seguito i curdi, che hanno colto l’occasione per accusare il governo di aver favorito la costruzione di edifici privi di standard antisismici sotto le cui macerie sono rimaste sepolte le vittime del terremoto che si è avuto ai primi di dicembre.

Si protesta anche per il rincaro dei generi alimentari e, nel Sistan Baluchistan, per la carenza di risorse idriche. In piazza sono inoltre scesi i truffati delle società finanziarie dell’immensa galassia di fondazioni che orbitano intorno a quelle realtà ribattezzate da autorevoli analisti con il nome di “ayatollah economy”. Ci sono poi i giovani che chiedono casa e lavoro. Questi ultimi, pur rappresentando la metà della popolazione, sono quelli che più di tutti stanno scontando il peso della crisi e delle sanzioni economiche che il Paese ha dovuto subire. A ben vedere, infatti, il 40-50% delle persone sotto i 30 anni ha difficoltà ad inserirsi nel mercato del lavoro, dato questo che si assomma all’altrettanto pesante crisi che sta colpendo molte famiglie costrette a vivere sotto la soglia di povertà.

Tuttavia, se ad oggi siamo di fronte ad una forma di protesta messa in campo da varie componenti disorganiche tra loro, non è da escludere che su tale protesta possa iniziare a soffiare un forte vento, alimentato da oltreconfine, che ha la precipua finalità di destabilizzare il Paese. Un copione che nel corso degli anni abbiamo visto più volte andare in scena con la conseguente destabilizzazione di aree geografiche altamente strategiche del Vicino Oriente e dell’Eurasia.

Tale strategia, meglio nota come geopolitica del caos, è stata inaugurata con la destrutturazione della penisola balcanica e successivamente proseguita con le guerre in Afghanistan, Iraq, Georgia e Ucraina. L'intento, che nel medio periodo si è rivelato fallimentare, ha spinto gli strateghi del Pentagono a orientare la loro attenzione verso il Nord Africa e quindi il Mediterraneo. Così, alimentando i focolai di tensione che andavano sviluppandosi durante la famigerata primavera araba, si è provveduto alla destabilizzazione dell'intera area con il capovolgimento o, a seconda dei casi, l'indebolimento dei regimi ritenuti non allineati ai diktat del Pentagono. Su tutti basti pensare al caso libico e a quello siriano.

Non va peraltro dimenticato che nello stesso arco temporale anche alcuni Paesi dell'Europa del sud venivano sottoposti ad una serie di attacchi finanziario speculativi che ne producevano un notevole indebolimento. Tra questi rientra certamente anche l'Italia che in quel periodo si mostrava maggiormente sensibile a partenariati, quali quello libico e quello russo, senz'altro in controtendenza rispetto ai diktat dell'alleanza occidentale.

L’Iran, nonostante i numerosi problemi interni a cui abbiamo fatto riferimento, ha assunto un ruolo di primaria importanza sia in ambito regionale che per l’intero mondo sciita, confermato dalla recente vittoria ottenuta in Siria sul Daesh insieme alla Russia e agli Hezbollah, che ha permesso l’apertura, in termini metaforici, del corridoio sciita che da Teheran arriva a Beirut, quindi sul Mediterraneo, passando per Bagdad e Damasco, nonché dal “vantaggio” nella crisi yemenita. Risulta, dunque, del tutto evidente che le tensioni che si stanno susseguendo all’interno del Paese possano presentarsi come una ghiotta opportunità per tutti quei soggetti regionali e non (Stati Uniti, Israele, Arabia Saudita), che intendono indebolire, o quanto meno logorare il grande attore iraniano.

Filippo Romeo – Analista di scenari geopolitici