Vi spiego la regalità di Cristo

Il Padre ci ha trasferiti “nel Regno del Figlio del suo amore” (Col 1,12 ss). Il passo di San Paolo – proposto nella odierna liturgia di Cristo Re – ci introduce nel mistero del Verbo eterno di Dio: Sapienza increata, immagine viva del Padre, capo del Corpo che è la Chiesa. È il Re, il Sovrano assoluto di tutto. Eppure Egli riconosce la sua regalità solo dopo aver evitato, nella sua vita terrena, acclamazioni, investiture e trionfi; e la afferma proprio quando tutto sembra ormai contraddirla. Fonti apparentemente inaffidabili confermeranno questa sua “pretesa”. Anzitutto l’ironia di Pilato che, avendolo dinanzi – spogliato di ogni potere e dignità – lo interroga: Dunque tu sei Re?. Di fronte al rappresentante del temibile potere di Roma, Gesù, in totale balia dei suoi carnefici, finalmente rivendica la sua autorità, fondata sulla Verità. Una Verità intesa non in senso “metafisico” – quale orgoglioso traguardo e possesso di una onnipotente “dea ragione” – ma vitale, affettivo, esistenziale. La Verità è che Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio (Gv 3,16).

Il Vangelo apre uno spiraglio imprevedibile: non vi è più soltanto lo sforzo “titanico” dell’uomo, che cerca di capire, con fatica e approssimazione, il suo destino, la realtà, il senso nascosto di ogni cosa. È Dio stesso che si fa presente a noi, capovolgendo ogni attesa e immaginazione. Nel Natale, a cui presto ci condurrà il percorso dell’Avvento, Egli si manifesterà addirittura come un bambino, bisognoso di cura e di attenzione; a Nazareth condividerà la nostra esperienza di vita comune, famigliare; negli anni della “vita pubblica”, attraverso la predicazione e i miracoli, sarà luce e conforto per ogni cuore; nel mistero del Calvario si rivelerà come inarrestabile torrente di Amore, che giunge fino al dono totale di sé. La scritta, posta sulla Croce, esprime – ancora una volta paradossalmente – la motivazione di quella inappellabile condanna, dichiarando la Verità circa la sua Persona: “Gesù Cristo Re dei Giudei”. Uno dei due malfattori, compartecipe della sua stessa pena, si rivolgerà a Lui, rivelando, “in extremis”, un inaspettato slancio di fede e di totale confidenza in quell’Uomo e ottenendo la grazia di penetrare per primo, unito a Cristo Signore, nella eterna gloria del Regno.

Gesù è un sovrano che non teme di sacrificarsi per i suoi “sudditi”; che insultato perdona; che ucciso ridona la vita; che, tradito dai suoi stessi amici, li chiamerà “fratelli”, dopo la sua Risurrezione. È un Re che porterà, nella reggia del Cielo, i segni della sua Passione, gli emblemi della sua Regalità, scritti per sempre nella sua carne adorabile, inflitti al suo Corpo – che non esiterà a donarci, come cibo di Vita nella Eucaristia – proprio da coloro che Egli ha salvati.

Sappiamo ancora poco di Gesù, lo conosciamo appena “di vista”. Dalle vette del nostro orgoglio, che ci fa credere spesso sapienti e onniscienti, dovremmo ridiscendere più frequentemente negli abissi della sua infinita umiltà, della sua mitezza, del suo Cuore. Comprenderemmo allora veramente che cosa significhi amare, quale sia il prezzo del perdono; che cosa voglia dire prendersi cura del destino degli altri; confortare, rialzare chi è caduto, accompagnare nel cammino chi fa fatica.

Cristo è Re di misericordia e di amore, perché diventasse “regale” – e degno di essere vissuto – ogni istante e ogni condizione della nostra esistenza; perché ogni frammento di autentica umanità riacquistasse lucentezza, fragranza, valore e nulla fosse sottratto alla “maestà della vita”: né il fanciullo, né l’anziano, né l’embrione nel seno materno, né il povero, né l’emarginato, né il “terminale”; e neppure la regalità misconosciuta di chi ci sta accanto o l’immagine stessa di Dio, impressa nel nostro cuore, seppure calpestata e maltrattata dalle nostre costanti infedeltà.

Il Regno di Dio, che è già in mezzo a noi, cresce e si sviluppa, silenziosamente, nel cuore di chi crede, adora, spera e ama; di chi perdona; di chi – oggi, nella banalità quotidiana di questo giorno – offre la sua vita, con semplicità, a gloria di Dio e per il bene dei suoi fratelli.