La speranza del bambino di Betlemme

Nonostante il consumismo frenetico e compulsivo che caratterizza la nostra società mercantile, in molti paesi della Sicilia la preparazione al Natale continua ad avere una certa rilevanza comunitaria che si manifesta nella preparazione dei cibi e dolci tipici, nell’allestimento dei presepi, nei tradizionali canti natalizi. Anche se è scomparsa la pratica del digiuno, durante la vigilia di Natale, nel rispetto della regola dell’astinenza dalle carni, sono consumati alimenti di origine vegetale quali legumi, verdure e baccalà. Mia madre preparava per Natale un pane particolare che si chiamava il “pane della SS. Trinità” che consisteva in tre piccoli pani intrecciati assieme da una corona fino a formare un solo pane, sul quale erano raffigurati i segni della passione: la croce, la scala, la lancia, i chiodi, la tenaglia e il martello. Al centro si collocavano alcuni chicchi di frumento, che simboleggiavano il pane materiale segno della Provvidenza divina e della carità verso i poveri e materia dell'eucaristia.

In questo gesto semplice, proveniente probabilmente dalla tradizione bizantina, erano racchiusi i misteri principali della fede cristiana: la Trinità, l'Incarnazione, la Passione, Morte e Risurrezione del Signore che erano tramandati all'interno della famiglia. Sia nelle case sia all’aperto con fantasia creativa si continuano ad allestire presepi e se ne organizzano di viventi, coinvolgendo centinaia di personaggi che rappresentano, oltre che le figure evangeliche della Santa Famiglia, dei pastori e dei magi, anche i vari mestieri presenti nella tradizione di un territorio. Questa inculturazione della fede, che coinvolge la vita ordinaria, la troviamo anche nei canti natalizi in lingua siciliana nei quali, da una base comune, ci sono differenziazioni che caratterizzano i vari territori. Il testo canoro più diffuso, soprattutto nella Sicilia occidentale, è il Viaggiu dulurusu di Maria Santissima e lu Patriarca San Giuseppi in Betlemmi, composto verso la metà del 1700 da Binidittu Annuleru, pseudonimo del canonico Antonio Di Liberto. Don Cosimo Scordato a proposito di questo testo scrive: “Il Viaggiu rispetta profondamente i motivi e i temi religiosi della sua ispirazione, ma ciò non toglie che attraverso il racconto si possano intravedere ambiente, scenario, abitudini, comportamenti tipicamente siciliani. (…) La storia del viaggio di Maria e di Giuseppe e la verità di esso passa attraverso la mediazione del linguaggio siciliano, delle immagini e dei colori di una terra, dei sentimenti di una comunità che unisce e lega la sua storia e la propria vita ai contenuti di cui il racconto si fa portatore. (…) L’esperienza siciliana del viaggio cerca il suo senso compiuto in ciò che avviene nei personaggi biblici di Maria e Giuseppe”. 

Il riferimento al dolore espresso dal sacerdote monrealese, che s’ispira ai vangeli apocrifi, è legato alla storia della nascita straordinaria del figlio di Dio, partorito in una stalla poiché rifiutato dagli abitanti di Betlemme. Il riferimento alla povertà e all’umiltà del Figlio di Dio è una costante in tutte le “novene”. A Grammichele, paese agrumicolo in provincia di Catania, una strofa recita: ”Ci mancaunu palazzi, a lu re di la natura e nasciu ‘nta li strapazzi di ‘na povera mangiatura” e tra i personaggi si fa riferimento a un “poviru iardinaru”(coltivatore di agrumi) che porta in dono al bambino “n’arancitieddu pi jucari u bamminieddu”. Il Natale di Gesù, che rimane nostro contemporaneo, ci invita a seguirlo sulla via della povertà e dell’umiltà, senza farci abbagliare dalle luci artificiali e stordire dai rumori delle nostre città e senza farci scambiare la speranza che nasce dal bambino di Betlemme con la favola del vecchio babbo natale che lascia il mondo nella tristezza dopo averlo illuso con qualche balocco.