I cinque punti cardine dell'agire evangelico

La parola strategia deriva dal greco “strateghós” che significa “generale”, cioè colui che comanda in una guerra ed ha una visione completa prima di “attaccare”, come scrive Sun Tsu nel libro “L’Arte della Guerra” che: “Il più grande condottiero è colui che vince senza combattere”, perché non si azzarda di fare la guerra senza una strategia intelligente. Come ci sono delle strategie del male nell'arte della guerra ci sono anche delle strategie di bene nell'arte della pace e nell'edificazione del Regno di Dio sulla terra. Bisogna trovare delle strategie nel fare il bene, cioè come ingegnarsi, inventare, creare, realizzare qualcosa per rendere felici gli altri. Pensiamo alla strategie delle mamme, degli educatori, degli insegnanti, dei sacerdoti, ma di ognuno che mette in pratica il comandamento dell'amore del vangelo. Credo che ogni comunità, gruppo, associazione di volontariato abbia bisogno di questi cinque principi umani ed evangelici:

1. Principio di felicità

Dio ci ha creati per essere felici dall'eternità e per l'eternità e la Dichiarazione d’indipendenza Americana del 4 luglio 1776 dice che “A tutti gli uomini è riconosciuto il diritto alla felicità”. La vita è bella se si è felici, ma è ancora più bella se si rende felici gli altri.

2. Principio di gratuità

Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date (Mt 10,8). Come diceva Don Oreste Benzi dobbiamo costruire la società del gratuito contro quella del profitto, non “do ut des” (dare per ricevere”, ma dare sempre dare. Quando si riceve il male, benedire, anzi continuare a dare senza ricevere, così uno è veramente evangelico se dà senza ricevere nulla e niente in cambio. Quanti doni e quante grazie ci fanno il Signore e la Madonna? La sincerità nelle relazioni “premia” con il tempo ed il bene fatto è ricompensato solo da Dio. Il Vangelo è dare senza ricevere, anzi nel fare il bene si può ricevere anche tanto male gratuito, ma ognuno deve continuare a dare di più, anzi non bisogna stancarsi mai di pregare per i nemici, perché li porteremo sempre con noi anche in Paradiso.

3. Principio di condivisione

Scrive Don Oreste Benzi nella Carta di Fondazione della sua comunità: “Mossi dallo spirito a seguire Gesù povero e servo, i membri della Comunità per vocazione specifica s'impegnano a condividere direttamente la vita degli ultimi; cioè mettendo la propria vita con la loro vita, facendosi carico della loro situazione, mettendo la propria spalla sotto la loro croce, accettando di farsi liberare dal Signore attraverso loro. Gli ultimi modificano il modo di gestire la famiglia, la professione, la verginità, il celibato, l'esercizio del ministero pastorale, l'uso del denaro, il tempo libero. Ogni membro che ha scelto questa via di santificazione, precisa a se stesso nello stato o nell'ambito di vita proprio quali sono gli ultimi che il Signore gli fa incontrare e il modo con cui si lega direttamente ad essi, e ne rende conto alla Comunità o direttamente al Responsabile della Comunità, che ha il servizio di conferma, al fine di vivere realmente e serenamente la propria vocazione”. Saper condividere le gioie e i dolori per poter stare uniti ed insieme combattere il male. Il Male crea divisione, zizzania, odio, malumore, rancore, rabbia. Noi dobbiamo combattere il Male con la condivisione. Il demonio non sa condividere niente con i suoi diavoli, gli angeli invece sanno condividere pace, gioia e beatitudine eterna. Allora noi uomini dobbiamo condividere le cose belle e le cose meno belle, le parole e i silenzi, le gioie e le sofferenze, dobbiamo dividere-con e tra noi, come Gesù fa con l'Eucarestia che è il sacramento per eccellenza della condivisione del Suo Amore per l'umanità. Con-dividere è dividere-con gli altri parte di noi e ci libera dall'egoismo e dall'autoreferenzialità. Nell'inferno c'è solitudine infinita e silenzio assoluto di morte, ma nel Paradiso c'è vita, condivisione, comunione, serenità e pace.

4. Principio di corresponsabilità

Essere responsabile l'uno dell'altro e sentire il “peso delle cose” non su una sola persona, ma un po' per ciascuno, come si dice, non fa male a nessuno. Bisogna educarci alla corresponsabiltà non dire: “Non tocca a me, ma m'impegno sporcandomi io le mani”. Ero presente fisicamente alla visita di papa Francesco a San Giovanni Rotondo quando diceva questo “programma di vita”: “San Pio ha combattuto il male per tutta la vita e l’ha combattuto sapientemente, come il Signore: con l’umiltà, con l’obbedienza, con la croce, offrendo il dolore per amore. E tutti ne sono ammirati; ma pochi fanno lo stesso. Tanti parlano bene, ma quanti imitano? Molti sono disposti a mettere un “mi piace” sulla pagina dei grandi santi, ma chi fa come loro? Perché la vita cristiana non è un “mi piace”, ma un “mi dono”.

5. Principio di carità concreta

E' fondamentale che le nostre idee e le nostre parole si trasformano in gesti reali e concreti di carità. Agire per il bene degli altri. Il programma di santità dell'Azione Cattolica era questa sigla: P.A.S., cioè “Preghiera, Azione e Sacrificio”. Carità concreta è azione “santa, buona e silenziosa” di cui la mano destra non sa cosa fa la sinistra. La carità silenziosa è la grande eloquenza del cristiano.