Emarginati vicini e lontani

Il nostro dispiacere per le persone emarginate non deriva solo dalla nostra empatia. Viene soprattutto causata dal fatto che per aiutarli non possiamo fare niente, o possiamo fare molto poco. Ovviamente questo poco sarebbe già qualcosa. Molti “pochi” creano, infatti, un “non poco”. Vale quindi la pena di partecipare alle mobilitazioni organizzate dalle associazioni che sostengono i bisognosi.

Ci sono, però, anche molti emarginati negli ambienti in cui ci troviamo quotidianamente: nelle nostre famiglie, tra i nostri conoscenti, ma sopratutto tra coloro con cui lavoriamo o viviamo. Ogni gruppo contiene persone forti, importanti e dominanti, e altre meno forti, con poco carisma. Infine ci sono quelle sottomesse al “potere degli altri”.

Non sempre è facile capire perché questo accada. Talvolta siamo caratterialmente “programmati” per dominare, guidare. Ma vivendo nella società moderna – democratica e culturale e, dobbiamo ricordarlo, cristiana – il carattere non è l’unico aspetto del nostro comportamento. O almeno non dovrebbe esserlo. Non è detto che gli umili e i discreti non abbiano talenti o competenze sufficienti a renderli più importanti di chi nasce con l’impronta del leader.

Chi si comporta da capo di solito lo fa per colmare quelle lacune della personalità che gli impedirebbero di avere la posizione sociale desiderata. I timidi, invece, non riescono ad agire in questo modo. E quindi finiscono per sottomettersi.

Si tratta di una forma di emarginazione invisibile ma reale e foriera di effetti. Nessuno fa niente per rimuoverla e per salvare le persone che si trovano in questa situazione. Nel mondo del lavoro l’esempio più classico è quello del mobbing, una delle forme più radicali della condizione di cui parliamo.

Chi è timido e utile spesso non osa difendersi per paura di ritorsioni. Così finisce per rimanere per lungo tempo paralizzato e sottovalutato. Quante vite sprecate! Quanti talenti distrutti! Lo stesso vale per le famiglie – per quanto riguarda il rapporto tra moglie e marito, ma anche tra genitori e figli. E quante ne vediamo conseguenze: depressione, aggressività e passività.

Se dunque siamo così sensibili alla miseria delle persone sofferenti dobbiamo anche imparare a guardare attorno a noi. Cerchiamo di analizzare come funzionano le nostre famiglie, i nostri gruppi di lavoro. Sono davvero tutti felici? Sono messi nelle condizioni di valorizzare i propri talenti? Si sentono necessari ed importanti?

E’ molto importante avere piena coscienza del problema. Indifferenza e passività favoriscono solo i forti. Non basta, quindi, individuare il problema e criticare. E’ necessario anche trovare soluzioni costruttive. Come? Per prima cosa creando attorno a noi un clima di accoglienza e fiducia e in seguito parlando, costituendo legami veri e profondi.

Così otterremo una riflessione comune e forse ad una strategia per una convivenza più giusta. Inizialmente a livello famigliare e locale e poi, pian piano, negli ambienti più grandi.

In questo modo potremo aiutare pienamente i nostri prossimi, salvarli prolungando concretamente la missione di Gesù che porta la speranza e la nuova vita. Se riusciremo a farlo anche gli emarginati lontani potranno trarne beneficio.